POST COVID: Economia e Società nel dopo pandemia
IL FUTURO
La speranza di tutti
è che la guerra in atto,
quella vera e
la ripresa dei contagi
non pregiudichino tutto
per l’Italia e per il mondo.
Di: Luigi Giovannini
Durante la fase più critica della pandemia si è spesso descritto il complesso degli interventi mirati al contenimento del contagio come una sorta di ‘’guerra’’ al COVID; ed in effetti, pensando ai quotidiani bollettini emessi dal Ministero della Salute con il tragico elenco di decessi, contagiati, ricoverati in terapia intensiva, ecc., nonchè allo stravolgimento provocato alla vita quotidiana di tutti noi ed ai relativi impatti economici, il parallelismo non era del tutto esagerato.
Analogamente potremmo ora considerare la fase attuale post-COVID (visti gli ultimi dati, gli scongiuri non sono obbligatori ma raccomandati, come le mascherine) una sorta di ‘’dopo-guerra’’, considerando che la pandemia, con il dolore e la sofferenza che ha portato, è anche diventata un fautore di aspettative e di cambiamenti importanti nell’economia e nella società in genere; evoluzioni e cambiamenti che si sarebbero verificati lo stesso ma probabilmente con maggiore lentezza.
Purtroppo in questo scenario in evoluzione ha poi fatto irruzione la guerra: quella vera e tragica, tra Russia e Ucraina, complicando ancor più il quadro socio-economico di riferimento e obbligando analisti ed economisti a sfidare l’impossibile per azzardare qualche previsione sull’andamento futuro delle variabili critiche dei modelli economici, quelle che determinano l’impatto maggiore sulla vita quotidiana delle persone e tra queste sicuramente la gestione e la tutela della salute.
Con riferimento alla situazione italiana si può tentare una sintesi quali-quantitativa di quanto sta emergendo in termini di cambiamenti importanti indotti dalla crisi pandemica.
Secondo gli analisti quattro sono le aree che hanno subito e subiranno gli impatti evolutivi più importanti nel prossimo futuro: economia e finanza pubblica, il mondo del lavoro, lo sviluppo tecnologico, la sanità.
In ambito economico il punto di maggiore discontinuità, in negativo, rispetto al decennio prima della pandemia è costituito dalla ripresa dell’inflazione: la media annua che negli ultimi anni si collocava tra 0 e 1% nell’anno corrente è stimata intorno al 6% e per i prossimi 3-5 anni intorno al 4%.
Lasciamo agli specialisti il dibattito se trattasi di un fenomeno strutturale o temporaneo; di certo il protrarsi del conflitto in Ucraina ed il conseguente pesante incremento dei costi energetici non giocano a favore di tempi brevi e noi comuni cittadini dovremo far fronte ad una perdita di potere d’acquisto che è circa 4 volte la media dell’ultimo decennio. Per contro un fattore positivo è costituito dalla ripresa della crescita del PIL: dopo circa un ventennio in cui il prodotto interno lordo italiano è oscillato da un -5,3% (2009) a un +1,8% (2006) nel 2021 il tasso di incremento del PIL è stato del 6,6%.
Con questo scenario di riferimento è chiaro che il Recovery plan predisposto dall’Europa (e che vede l’Italia come massima beneficiaria con oltre 190 miliardi di Euro), rappresenta un’opportunità enorme per tutti i settori della società civile ed economica che ne beneficeranno e tra questi anche la sanità pubblica: un treno che non possiamo perdere, come si sente dire, considerando anche l’entità del nostro debito pubblico, che la crisi economica dovuta alla pandemia ha spinto al 160% del PIL.
Vero è che larga parte di questa performance positiva è dovuta ad un fisiologico recupero dopo il crollo del 2020 (-8,9%) dovuto alla pandemia; tuttavia la ripresa pare avere basi solide per garantire crescita dignitosa anche negli anni successivi (stime intorno al +2%). Quanto sopra anche grazie al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) in base al quale l’Europa ha stanziato oltre 190 miliardi di Euro (di cui circa 70 a fondo perduto), per ottenere i quali l’Italia si è impegnata a attuare le riforme e gli investimenti strutturali, che non è riuscita a realizzare negli ultimi 20 anni e che sono alla base del ‘’ritardo’’ in termini di competitività del nostro paese, per altro gravato da un enorme debito pubblico, che la pandemia ha ulteriormente peggiorato. Il Next Generation Eu, di cui il PNRR è parte integrante, rappresenta la risposta più imponente a livello europeo agli effetti economici del Coronavirus e ha posto le basi per un significativo balzo in avanti dell’Unione che, giova ricordarlo, non sarebbe avvenuto senza il COVID.
Per ora sul fronte italiano programmi di riforma e stanziamenti hanno viaggiato in parallelo; l’auspicio è che, malgrado i capricci della politica nostrana, si possa arrivare a compimento del progetto, da tutti considerato un’occasione unica per colmare il gap del sistema Italia nei confronti degli altri paesi leader europei.
La seconda area in cui la pandemia ha portato cambiamenti epocali, probabilmente senza ritorno, è quella del lavoro. È probabile che il futuro non sia improntato al ‘’remote first’’, ma certamente i cambiamenti portati dal lavoro da remoto tenderanno a conquistare spazi importanti. Studi significativi in proposito di autorevoli società di consulenza aziendale (ad esempio McKinsey) stimano nell’intorno del 20-25% la quota di forza lavoro che in futuro potrebbe lavorare da remoto senza impatti negativi in termini di produttività e motivazione e con indiscutibili benefici a livello di mobilità, inquinamento, spazi per uffici, eccetera.
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