Cercasi giovani...la popolazione italiana sempre più in calo!
LA PREOCCUPAZIONE
Il Servizio Sanitario Nazionale
(SSN)
ha festeggiato nel 2023
il suo 45mo compleanno.
Che futuro ci aspetta?
Di: Luigi Giovannini
Il Servizio Sanitario nazionale (SSN) ha festeggiato nel 2023 il suo 45mo compleanno. La ricorrenza ha offerto l’opportunità di aprire un ampio dibattito tra esperti del settore, giornalisti, opinionisti e pubblica opinione sullo ‘’stato di salute’’ (è il caso di dire) di una delle riforme più importanti della storia repubblicana. Uno degli aspetti su cui si è concentrata maggiormente l’attenzione degli analisti è stata la sostenibilità economica del sistema, anche alla luce delle difficoltà enormi affrontate per fronteggiare l’epidemia di COVID negli anni precedenti.
Come è noto il SSN, in ottemperanza con i suoi principi fondativi, eroga servizi di assistenza sanitaria a tutta la popolazione a prescindere dal livello socio-economico e, a maggior ragione, dal rischio e/o gravità della malattia e coerentemente con queste finalità viene finanziato tramite la fiscalità generale.
La cosiddetta sostenibilità va perseguita cercando il punto di equilibrio tra la spesa sostenuta per i servizi sanitari e le richieste di assistenza dei cittadini. Poiché questo punto di equilibrio dipende dalla capacità contributiva del paese, risulta importante, tra gli altri fattori in gioco, l’andamento demografico attuale con le sue prevedibili evoluzioni. E qui il percorso di ricerca della sostenibilità incontra un rilevante punto critico: la popolazione attiva in Italia continua da diversi anni a diminuire in valore assoluto e, questo è l’aspetto più importante, anche rispetto alla popolazione non più attiva, che presenta peraltro le maggiori esigenze di servizi sanitari e con costi più elevati.
Alcuni dati a supporto di queste considerazioni: all’inizio degli anni ’80 gli under 15 erano in Italia 12,2 milioni, pari al 21,6% della popolazione totale. A distanza di 40 anni (dati 2021) la popolazione al di sotto dei 15 anni è scesa a 7,5 milioni (12,7% del totale). È corretto segnalare che questo andamento demografico è presente anche in altri paesi europei (Francia, Germania, Spagna), tuttavia con dimensioni decisamente più ridotte rispetto all’Italia, sia in valori assoluti, sia in percentuale sulla popolazione totale.
Economisti e sociologi concordano nel ritenere indispensabile ed urgente affrontare il problema, che rappresenta un grave rischio per la sostenibilità dei sistemi di welfare e più in generale sul piano sociale, culturale ed economico del paese. Indispensabile quindi agire prioritariamente sulle cause del problema per trovare gli antidoti opportuni e adottare le misure necessarie ad invertire la tendenza. Antidoti e misure che per forza di cose produrranno i loro effetti a distanza di anni; e questo, se mai ce ne fosse bisogno, aggiunge criticità al problema e urgenza per la ricerca di soluzioni. Sulle cause della natalità si sono formulate molte analisi sociologiche, economiche, statistiche, eccetera, fino a trovare addirittura una sorta di correlazione tra il numero delle nascite e la frequenza maggiore o minore delle notizie negative presenti nei TG della sera in certi periodi piuttosto che in altri.
Più verosimilmente, considerando che il fenomeno della denatalità ha avuto origine in Europa e Nord America, uno dei fattori di causalità della transizione demografica è nella crescita del benessere materiale, che ha tra l’altro progressivamente consentito la diminuzione del coefficiente definito tecnicamente di ‘’rimpiazzo generazionale’’ fino a circa 2 figli, grazie alla contestuale riduzione del rischio di morte in età prematura e alla possibilità di giungere in buona salute in età avanzata.
Questo passaggio, ormai consolidato nei paesi occidentali, è in piena evoluzione anche in molti paesi dell’Asia e dell’Africa e ha portato il numero di nascite per donna a livello mondiale a 2,27; eravamo a 3,73 nel 1980 (dati Banca Mondiale).
Sull’andamento demografico gioca anche un secondo fattore e riguarda gli stili di vita. La decisione sul numero dei figli viene sempre di più collegata da una parte all’esigenza di disporre di risorse economiche sufficienti per garantire loro adeguate prospettive di crescita e formazione e, dall’altra alla possibilità di conservare un adeguato equilibrio e sostenibilità tra vita di famiglia e vita di lavoro.
Infatti nei paesi occidentali il desiderio delle famiglie di avere figli tende ad essere più debole e la scelta sul loro numero è sempre di più in stretta competizione con altre aspirazioni legate alla realizzazione in campo professionale.
È tuttavia anche dimostrato nelle analisi che per le giovani coppie che si trovano in un contesto di difficoltà nei loro percorsi professionali, con prospettive di lavoro precarie e con poche o nulle opportunità di miglioramento della situazione economica, la decisione di avere figli viene più facilmente rimandata nel tempo ed è maggiormente condizionata nel numero.
Limitando il campo di analisi all’Europa Occidentale osserviamo tuttavia che il processo di transizione demografica ha portato a valori nel tasso di fecondità significativamente diversi in alcuni paesi: troviamo valori vicini a 2 ad esempio in Francia e Svezia e più prossimi a 1 in Italia, Spagna e Grecia. Questa differenza è oggettivamente dovuta a condizioni economiche e socio-assistenziali diverse, che rendono più facile la decisione di avere figli in alcuni paesi rispetto ad altri.
I dati evidenziano che nei paesi dell’area occidentale mantenere il tasso di natalità in prossimità del valore di rimpiazzo generazionale risulta praticamente impossibile senza l’adozione di misure strutturali e continuative (non bonus e/o interventi spot) mirate al sostegno delle famiglie e della scelta di avere figli. I paesi che hanno intrapreso questo percorso hanno oggettivamente maggiori possibilità di fronteggiare il progressivo invecchiamento della popolazione, garantendo sostenibilità al sistema assistenziale e previdenziale, grazie al mantenimento di una popolazione attiva a livelli stabili o in moderata diminuzione. All’opposto paesi come l’Italia si troveranno in serie difficoltà a garantire un adeguato sistema di welfare se in tempi brevi non adotteranno misure adeguate ad arginare la denatalità progressiva, supportando le famiglie in periodo di fertilità con interventi ad ampio raggio mirati a disinnescare l’aut - aut decisionale tra la scelta di avere figli e le proprie legittime aspirazioni professionali e di stili di vita.
L’auspicabile ripresa della natalità dovrà camminare di pari passo con una corretta gestione dei flussi migratori, che potranno favorire e accelerare il raggiungimento della stabilità demografica, se si adotteranno percorsi formativi atti a rispondere alle necessità del mondo del lavoro e a garantire un processo di integrazione adeguato e stabile.
In questo modo ìl problema dell’immigrazione potrà trasformarsi in una valida opportunità ai fini del riequilibrio del deficit demografico e consentire al Paese di continuare a competere sullo scenario europeo e mondiale in rapida evoluzione.