"Assistenza"...cioè stare accanto
Articolo del dottor Ferdinando Garetto
“Le cure palliative”
L’attività di un’èquipe di cure palliative è fatta di tanti incontri, a volte brevi e intensi, in molti altri casi costruiti nel cammino fatto insieme ai malati e alle loro famiglie nella quotidianità di mesi di assistenza. La ricerca del senso, il tema della speranza, che non sempre può essere la speranza di guarire, ritornano continuamente nella riflessione che sempre anima le cure palliative, a volte come una domanda almeno apparentemente senza risposta.
La malattia, la sofferenza, richiamano tutti gli operatori sanitari al limite della propria e altrui umanità “svestita del camice”: per questo a chi fa questo lavoro non può che destare una certa impressione la periodicità con cui i riflettori dei media si accendono sul “problema” dei malati cosiddetti “terminali”. In queste ondate emotive ricorre spesso l’espressione “è ora di fare qualcosa”; si scatenano dibattiti in genere fortemente ideologici, poi…il lungo silenzio in attesa di nuovi “casi” da prima pagina. E poco si sa delle centinaia di “storie” che quotidianamente, negli ospedali, nelle case e negli Hospice, parlano misteriosamente e intensamente di “vita” anche nei passaggi più dolorosi, anche “alla fine della vita”.
“Senza far rumore”
Un proverbio cinese molto noto afferma che “fa più rumore un albero marcio che cade al suolo che una foresta che silenziosamente cresce”. Fa impressione quanto ancora sia poco conosciuto il lungo cammino delle cure palliative, una rivoluzione silenziosa che ha davvero “fatto qualcosa” per migliaia e migliaia di malati e per le loro famiglie. Sono trascorsi infatti ormai più di trent’anni dalle prime iniziative, in genere volontaristiche e quasi sempre nate da dolorose vicende personali, finalizzate allo sviluppo delle cure palliative in Italia. Nel 1989, nella nostra Torino, la Fondazione FARO assisteva a domicilio i suoi primi due pazienti. Da allora i malati seguiti sono stati più di ventimila, in città e provincia (dal 2001 anche in Hospice), attraverso una ininterrotta catena di solidarietà e generosità che ha idealmente collegato chi aveva gratuitamente ricevuto assistenza a chi si sarebbe successivamente trovato nella stessa dolorosa necessità. Sono le tante storie quotidiane, in cui la complessità dei legami e dei rapporti, nel percorso a volte lungo e travagliato, a volte repentinamente breve, richiedono inevitabilmente una presa in carico globale e multidisciplinare, di un malato e di un’intera famiglia… Sono le storie quotidiane di fragilità che ci segnano, ma al tempo stesso ci spingono avanti, in quel “principio di reciprocità” descritto come “una relazione biunivoca e non soltanto uno che dà e uno che riceve. Il beneficiato non è un semplice oggetto di benevolenza per chi lo beneficia, ma è qualcuno che restituisce a chi lo sta aiutando il significato del suo operare” (Zamagni, 2009)
“Un pezzo di strada insieme”
Le cure palliative per chi vi lavora sono innanzitutto un’esperienza umana e professionale basata sulla reciprocità e sull’alleanza di tutte le figure coinvolte, operatori, famiglia e paziente.
Fra gli operatori (medici, infermieri, psicologi, fisioterapisti, volontari…): sappiamo quanto è importante per il malato “respirare” questo clima di reciproca fiducia e stima, e quanto invece può causare sofferenza sentirsi il punto di scarico di tensioni e rivalità. È un’alleanza che si costruisce attraverso gesti e segni concreti e la capacità – a volte – di “saper perdere” qualcosa del proprio ruolo per costruire un’èquipe più dinamica ed affiatata.
Con la famiglia: non sono sufficienti le buone parole, ma è necessario agire con concretezza. Bisogna che le ore accanto al malato non siano ore di solitudine e paura, ma siano ore in cui l’assistenza prosegue anche a distanza. Da qui l’importanza di una reperibilità reale e efficace, ma ancora di più di un percorso educativo che permetta di sapere che cosa fare, come fare, e quando fare; nelle ore o nei giorni “ultimi” aumentare il supporto, le visite, anche quando tecnicamente c’è poco o nulla da fare, ma è fondamentale interpretare i segni e i piccoli cambiamenti, ripercorrere i ricordi, prepararsi al distacco; nel periodo del lutto, garantire se richiesta una presenza discreta, ma tangibile, senza la quale un percorso di cura sarebbe incompleto. E’ immensa la gratitudine che proviamo per le tante famiglie che, sia pure con il nostro aiuto, nel silenzio, quotidianamente assistono i malati, proprio perché ne conosciamo bene la fatica.
Il tutto per costruire l’alleanza decisiva, quella con il malato: a volte mi chiedo come mai, nel momento più critico della malattia, accolgano proprio noi, gli ultimi arrivati, che chiediamo il permesso di entrare nelle loro case. Forse tutto nasce dall’incontro degli sguardi, dal sentirsi guardati come persone “intere”, “vive”, dopo la frammentazione degli esami e delle terapie per curare gli organi malati. In fondo, il nostro lavoro si potrebbe definire come quello di restituire un’immagine di interezza alla persona. E questo non sarebbe possibile, nell’incontro quotidiano, se non ci fosse lo spazio relazionale in cui poter esprimere qualsiasi domanda, anche quelle che ci portano nel cuore degli interrogativi etici più impegnativi. Le cure palliative, laicamente, si collocano con forza contro qualsiasi forma di accanimento terapeutico, combattono la sofferenza anche con interventi sedativi profondi condivisi con il paziente e con la famiglia, ma affermano con altrettanta decisione che l’eutanasia non è “la soluzione”, e ritengono che la legalizzazione sarebbe una sconfitta dei più deboli, e non una forma di progresso e di civiltà. Anche quando apparentemente non esistono risposte, ancora una volta restano la presenza, la vicinanza e la reciprocità, perchè il rapporto di cura, come è stato detto, sia sempre un luogo di alleanza e non “l’incontro fra due solitudini”.
“Il fine” ... non solo “alla fine”
Le cure palliative prevedono non solo il controllo della sofferenza, ma anche la gestione delle problematiche psicologiche, sociali e spirituali del paziente e della sua famiglia in tutte le fasi della malattia, a volte sin dalla diagnosi, ancora prima dell’inizio della chemioterapia. Da alcuni anni si parla, infatti, di ‘simultaneous care’, il lavorare fianco a fianco fra oncologi e palliativisti, per integrare precocemente le cure palliative nel percorso terapeutico del malato oncologico.
Quasi un migliaio ormai sono stati i pazienti seguiti nel corso degli ultimi anni nella originale collaborazione tra Fondazione FARO Onlus e Oncologia Medica del Gradenigo di Torino. Una preziosa sinergia, nata con l’obiettivo di garantire ai malati oncologici un percorso di cura continuo nel delicato passaggio dai trattamenti "attivi" a quelli "palliativi". Fulcro del progetto la presenza di figure assistenziali presenti in entrambi i servizi: la presa in carico inizia in ospedale con un'attenzione peculiare ai sintomi e alla progettazione dell'assistenza e prosegue a domicilio (o in hospice) in continuità lineare tra i curanti. Grazie al clima di fiducia reciproca presente fra gli operatori dell'equipeoncologica del Gradenigo, i collaboratori della Onlus, i pazienti e le loro famiglie, per più del 75% dei ricoverati è stato possibile avviare un programma di cure palliative a domicilio o in hospice. Cardine dell’attività è anche la presenza al Gradenigo del Progetto Protezione Famiglia della Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta, attivo sin dal 2007 e sostenuto dal 2015 dal GITR, rivolto ai malati (e ai loro familiari) in tutte le fasi della malattia oncologica.
Nell'ambito di questa collaborazione è stata negli anni condotta anche un’iniziativa formativa rivolta agli operatori sanitari dell’Ospedale e del territorio. Denominato "Oltre", il progetto ha visto l’approfondimento di temi quali: il dolore "oltre" la legge 38/2010; l'approccio al dolore "oltre" i farmaci oppioidi; le cure palliative "oltre" il dolore(sintomi respiratori, gastroenterici, neurologici, problematiche ematologiche, la gestione delle urgenze tra oncologia e pronto soccorso); le cure palliative "oltre" l'oncologia (patologie neurologiche, cardiologiche, le specificità in pediatria); la fine della vita... “oltre” le cure palliative?.
“Oltre” ci è sembrata la parola-chiave per esprimere la ricchezza di riflessione che nasce dai tanti interrogativi clinici, ma anche etici, filosofici e spirituali, di chi si trova accanto alle persone nella fase più delicata dell'esistenza. Il progetto è servito anche a costruire nuovi rapporti di stima e conoscenza del lavoro altrui con gli Operatori di altri servizi dell’ospedale e facilitare una collaborazione sempre più diffusa e reciproca.
“...Oltre...”
Questo, e molto altro, sono per noi le cure palliative. Con umiltà, con la consapevolezza dei limiti nostri e della medicina in generale: prima ancora che curanti e pazienti, uomini e donne accanto ad altri uomini e altre donne nei momenti più difficili, ma spesso più preziosi, della vita. Pronti ogni giorno a farci “sorprendere” da una nuova storia, dalla scoperta di nuovi legami e da nuovi sentieri da percorrere. Un “patto” di essere accanto, quasi mai sapendo - all’inizio- dove ci porterà il cammino.
Ogni volta un po’ “oltre”, perché, come dice P. Polisca, “... ‘oltre’ si trova l’oceano sconfinato dei valori umani e spirituali. L’essere oggetto dell’attenzione clinica è una persona, con i suoi sentimenti, le sue aspirazioni, le sue sofferenze che nessuna tecnologia potrà mai cogliere pienamente”.
...“Storie” che ci segnano
e ci accompagnano...
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“Dalla testimonianza, non dal ragionamento...”