Solidarietà e competenza, ecco una disciplina che sta crescendo...
L'ASSISTENZA
La psiconcologia, grande risorsa
per i pazienti e i parenti in crisi.
Un’assistenza umana e sociale
che si articola in vari campi.
Positivo il bilancio 2016
con il contributo del G.I.T.R.
nell’ambito del Progetto
Protezione Famiglia,
rivolto ai nuclei più fragili.
COME SI SVOLGE L'ATTIVITÀ
Di: Monica Seminara
Non è sempre semplice comprendere cosa concretamente avviene nel lavoro psiconcologico clinico con i nostri assistiti: spesso la metodologia che caratterizza le scienze umane e la psicologia clinica, in particolare, non consente di chiarire in modo compiuto quanto di importante realmente accade nella riservatezza dello spazio clinico, all’interno del quale l’accoglienza della dimensione intrapsichica e psico-emotiva è talvolta in grado di operare in sé evenienze inattese.
Il percorso di trattamento psiconcologico, è la dimensione psicodinamica dentro cui tutto succede.
La pratica psiconcologica clinica, fondata sull’impegno relazionale, che coniuga la biologia alla biografia delle persone, attraverso una pratica che ascolta, cerca di comprendere e si struttura in modo personalizzato in direzione dei bisogni di ciascuno – presso la S.O.C. complessa di Oncologia diretta dal Dr. Comandone – per tutti i beneficiari, lavora per favorire l’adattamento alla malattia oncologica e la gestione degli aspetti psicologici e psicosociali implicati, nelle diverse fasi, compresa quella – quando purtroppo necessita – del passaggio dalle cure attive alle cure palliative, verso il fine vita e ancora dopo, nella fase di elaborazione del lutto per chi, dopo avere accompagnato, resta.
Chi vive il dramma della malattia oncologica, perché ne è colpito in prima persona o perché accompagna nell’esperienza di malattia – in modo più o meno consapevole – un proprio caro che ne è affetto, vive dentro di sé emozioni fortemente disturbanti e porta dentro pensieri che, molto spesso, seriamente turbano, ostacolano e compromettono il normale andamento del quotidiano.
I toni sono quelli della preoccupazione, che si converte in paura, ansia, angoscia, per questioni specifiche che attengono alle vite delle persone, nella loro storia, nella loro individualità, in relazione al loro momento del ciclo di vita in cui si trovano, dipendentemente dai legami affettivi che regolano la loro esistenza.
La malattia toglie, giorno per giorno, serenità e sicurezza.
Il dialogo attento al bisogno specifico (diverso per ogni persona), che argina, contiene e sostiene la piena emotiva e consente la presa di coscienza e la successiva elaborazione dell’emotività espressa, permette alle persone di recuperare la loro padronanza di sé, attraverso il riconoscimento del senso e del significato del proprio stare nell’esperienza di malattia e di cura, del proprio “sentire dentro” e del proprio fare di ogni giorno; il confronto con pensieri, sentimenti, atteggiamenti e comportamenti può avere effetto trasformativo sul pensiero e il cambiamento indotto, può alleviare il peso, può aumentare le capacità di fronteggiamento; può fornire loro maggiori strumenti per una maggiore e migliore gestibilità della loro esperienza critica.
Avere paura di morire o avere paura di perdere il proprio caro è l’esperienza più difficile che chiede la vita, caratterizzata da risvolti psicologici complessi e dolenti.
Questo è quanto evoca il cancro, presente nella vita e nella famiglia delle persone malate. In tutte.
Nel mezzo, nelle diverse fasi di malattia che stanno tra la diagnosi e la morte, ci sono le numerose, continue e progressive altre perdite a cui occorre, nel quotidiano di vita, fare necessariamente fronte: tutto cambia, cambiano equilibri e dinamiche, lo schema di vita assume nuove dimensioni, cambiano ruoli e compiti; cambia l’immagine di sé davanti allo specchio – in particolari casi di mutilazione, in modo dolorosamente traumatico – e nelle relazioni sociali.
CONTINUA...