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La relazione tra Medico di famiglia e Caregiver

MMG e Caregiver

 
LA CONSIDERAZIONE
 
Indispensabile la creazione
di un “Protocollo”
da applicarsi nei confronti
del malato e del suo Cargiver
che veda come capofila
il medico di famiglia (MMG)
 
 
 
 
Di: Ernesto Bodini
 
Le statistiche ci dicono che è in continuo aumento il numero di pazienti cronici con pluripatologie croniche, ciascuna delle quali può interferire con l’andamento e la cura delle altre che, unitamente alla scarsa competenza del caregiver, costituiscono la nuova emergenza sanitaria e del welfare. Infatti, nel nostro Paese le malattie croniche sono responsabili dei decessi nella misura del 92%, e riguardano specie gli anziani ma anche giovani giacché 1,5 milioni di 45-55enni sono affetti da più patologie. In Italia la percentuale di “over 65” sul totale della popolazione è pari al 21,2%, dal conseguente aumento dell’incidenza delle malattie croniche e dal permanere di differenze assistenziali nelle singole realtà regionali.
 
Quindi, l’osservazione di questa emergenza è sull’età media ma anche sulla insufficiente prevenzione. Diventa pertanto impegnativo seguire in modo strutturato a domicilio questi pazienti, individuando in primis la priorità di intervento ponendo particolare attenzione alla complessità delle patologie. I pazienti cronici non rappresentano una categoria sociale in quanto la disabilità è insita nella condizione umana, particolarmente fragile e quindi esposta ad imprevisti. Il medico che prende in carico un paziente cronico dovrà tener conto delle diverse competenze specialiastiche e professionali coinvolte nel processo di cura per il sovrapporsi di patologie diverse, di funzioni lese o compromesse, o di problematiche socio-assistenziali sulla adeguata e specifica condizione clinica. Il Piano Nazionale Cronicità (PNC) fornisce indicazioni per favorire:
- il buon funzionamento delle Reti assistenziali, con una forte integrazione tra l’assistenza primaria, centrata sul medico di famiglia, e le cure specialiastiche;
- la continuità assistenziale, modulata sulla base dello stadio evolutivo e sul grado di complessità della patologia;
- l’ingresso in quanto precoce della persona con malattia cronica nel percorso diagnostico e terapeutico multidisciplinare;
- il potenziamento delle cure domiciliari e la riduzione dei ricoveri ospedalieri, anche attraverso l’uso di tecnologie innovative di “tecnoassistenza”;
modelli assistenziali sui bisogni “globali” del paziente e non solo clinici.

Tutto questo perché, come precisa il prof. Francesco Perticone, dell’Università di Catanzaro, «... una volta dimesso, il paziente torna ad essere un “malato a pezzi” che deve fare controlli dal cardiologo, dal pneumologo, dal dietologo, dal vulnologo, dall’oncologo, etc., passando da uno specialista all’altro senza essere visto da un esperto che sappia mantenere una visione d’insieme». È noto che la figura del caregiver (solitamente un familiare) svolge un ruolo di notevole importanza per l’assistenza continua al malato cronico e allettato, magari affetto da più patologie. Ma in non pochi casi il caregiver non ha le conoscenze necessarie medico-sanitarie o di pratica infermieristica, tali da garantire una adeguata assistenza continuativa al proprio congiunto o assistito. Spesso l’aiuto che il caregiver riceve dall’assistenza domiciliare (ADI-ADP) e/o dai Servizi Sociali della propria Asl, è di “routine” e talvolta marginale rispetto alle esigenze quotidiane del paziente, ancor più impegnative se lo stesso è affetto da comorbilità e allettato. Ma il più delle volte l’assistenza è basata sull’intuizione e non poca apprensione, intervenendo magari in modo non appropriato. E questo comporta la necessità di rivolgersi al medico di base, escludendo magari la necessaria ricerca del medico specialista preposto a “risanare” una situazione clinica in corso di aggravamento.
 
In Italia il caregiver è prevalentemente donna. Da una ricerca del Censis di qualche anno fa la presenza femminile era di > l’80% nella fase severa della malattia (demenza senile in particolare). I tempi di cura ± di 7 H di assistenza e di 11 H di sorveglianza, che diventano rispettivamente di 10 e 15 H con l’aggravarsi della malattia. Per contro, il tempo libero ± di 15 H la settimana nelle fasi iniziali e di 4 H nelle fasi più avanzate. Le forme di aiuto che il caregiver riceve da altri famigliari o da personale remunerato servono nel 36,5% dei casi per la sorveglianza e nel 45% per le cure igieniche. Secondo il Rapporto del Coordinamento Nazionale delle Associazioni di Malati Cronici (Cittadinanattiva) le famiglie che assistono pazienti con patologia cronica nel 93% dei casi è legata alle difficoltà di conciliare tale assistenza con il lavoro, il 57,8% si è visto costretto a ridurre l’orario di lavoro, il 35,6% ha lasciato l’attività, il 22% ha chiesto il prepensionamento, il 42% delle famiglie ha optato per una badante (o figura paritaria...). 
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