A Torino l'abbandono dell'Istituto Ortopedico Maria Adelaide
LA SPERANZA
Una struttura dismessa
dal 2016 in attesa
di essere riqualificata.
Molto utile sarebbe riconvertirla
in una RSA
di cui i torinesi
hanno tanto bisogno.
Da: Il mio giornale
Dico la mia - Evidenza - 2 Maggio 2022 - Ernesto Bodini
Di: Ernesto Bodini
Quanta pochezza di spirito, di intraprendenza e soprattutto di obiettività dei politici-gestori, anche quando si tratta di ridefinire l’uso di una struttura sanitaria dismessa, perché “superata” nella sua utilità iniziale. A Torino è il caso, ad esempio, del vecchio Istituto Ortopedico Maria Adelaide (Lungo Dora Firenze 87). Inaugurato nel 1887, è divenuto negli anni (e precisamente dal 1939) Centro Regionale di riferimento per le Cure e Paralisi infantili, e già nell’ottobre 1949 Don Carlo Gnocchi affermava: «È nostra intenzione istituire qui una sezione per la lotta alla paralisi infantile (poliomielite), dopo la quale il soggetto colpito può essere ancora recuperato… Mancano in Italia Istituti del genere, mentre esistono quelli per l’assistenza nella fase acuta del male». Una concretezza d’epoca ed è dagli anni ’60 che il Maria Adelaide è stato tra i primi in Italia ad introdurre il Servizio di Rieducazione e Riabilitazione; quindi un polo di eccellenza per il trattamento delle più svariate patologie ortopediche e per la correzione delle deformità causate dalla
poliomielite.
Chi scrive, proprio perché colpito da paralisi ad un arto inferiore, è stato operato nel 1957 (conservando tuttora copia della cartella clinica in archivio). Nel 1971 venne inaugurato il nuovo reparto di terapia intensiva, e nel 1995 questo nosocomio disponeva di 205 posti letto per ortopedia, traumatologia e pronto soccorso, oltre ad un certo numero per la sezione dedicata alla cura delle deformità del rachide, un Servizio di Radiologia e uno di laboratorio per le analisi cliniche. Prima della chiusura, avvenuta nel 2016, disponeva di 46 posti letto, con 300-400 ricoveri l’anno e degenze di 70-80 giorni.
A tutt’oggi, quella che si poteva definire una rinomata struttura specialistica ospedaliera è abbandonata a sé stessa, un capitale immobiliare che pur inattivo rappresenta comunque un costo per la collettività, ma di cui gli amministratori pubblici non sono in grado di definire un nuovo uso di cui ci sarebbe tanto bisogno…
Pur ammettendo la carenza di personale sanitario e assistenziale, non è detto che non si debba prendere in considerazione il fatto che tale struttura possa essere riconvertita, ad esempio, in una sede di RSA i cui possibili afferenti sono sempre più in aumento per età e per patologie, tant’è che la maggior parte sono ricoverati in strutture situate in provincia (in parte a carattere privato) e, per ragioni facilmente comprensibili, non sempre visitabili dai propri famigliari. Va sottolineato che parte degli aventi bisogno di un ricovero in RSA sono anziani e spesso affetti da più patologie croniche, e non facilmente gestibili al proprio domicilio; quindi ben venga l’opportunità di trasformare il vecchio Maria Adelaide in una RSA con un certo numero di posti letto…
Ma intanto si continua a procrastinare perché i “politici” non riescono ad arrivare ad una intesa comune, proprio per carenze di capacità valutativa, razionalità ed obiettività.
In attesa che questa struttura dismessa entri nella programmazione sanitaria regionale, i torinesi continuano ad aspettare osservando la dispersione di risorse e dei tempi (il tempo è denaro); e non si voglia pensare a qualche ipotetica speculazione da qualsiasi parte provenga perché, in tal caso, non si rispetterebbero le aspettative e le esigenze della popolazione, oltre a rappresentare un “oltraggio” alla memoria di quello che è stato un grande Centro chirurgico ortopedico…. cui hanno beneficiato anche molti poliomielitici. Un’ultima considerazione: sarebbe utile, oltre che indispensabile, che chi è preposto alla gestione del bene comune in Sanità, di tanto in tanto verificasse di persona (a stretto contatto) situazioni famigliari, i cui componenti anziani e precari in salute, improrogabilmente hanno bisogno di quella assistenza che si concretizzi in centri di ospitalità… anche in sedi da riconvertire proprio come l’ex nosocomio torinese.
E, come si dice in questi casi: chi vivrà, vedrà!