Voci del '900 - Gigi GHIROTTI
LA RUBRICA
Con il giornalista Gigi GHIROTTI
prende corpo la rubrica
che tratteggia figure significative
del ‘900 in tutti i campi.
A cura di: Ferdinando Garetto
Gigi Ghirotti,
il lungo viaggio di un cronista
Negli anni ’70 era “un male incurabile”. Sottovoce, nascosto... Il nemico subdolo che “si portava via” personaggi famosi o persone care. Poi accadde qualcosa di nuovo. Fu la forza di una narrazione autobiografica a scardinare i luoghi comuni. Era il 1973: sul secondo canale (oggi Rai2), all’ora di cena. La trasmissione si chiamava “Orizzonti – L’uomo, la scienza, la tecnica” (piccola nota “sociologica”: che cosa vediamo oggi in televisione nei principali canali nazionali, all’ora di cena....?). Mezza Italia si ferma tutte le sere, con crescente interesse, a seguire la vicenda umana di un grande giornalista, abituato a reportage di guerra, di politica, di cronaca nera. Si chiama Gigi Ghirotti: la sua vita è bruscamente cambiata in seguito all’incontro con “il signor Hodgkin”, come chiama lui il linfoma.
E da grande giornalista si avventura nel reportage più impegnativo...
“Da un anno mi insegue un odore di etere, di alcool, di antibiotici, di lisoformio e questo cocktail olfattivo mi pizzica le narici, mi inzuppa le ossa, mi si è attaccato alla pelle. Sono passato nel corso di questi dodici mesi attraverso quattro ospedali, quattro interventi chirurgici; una galleria quanto mai varia e imprevedibile di medici, di infermieri, di compagni di viaggio; una esperienza umana e civile vissuta coralmente con persone che un anno fa non conoscevo, con cui non avrei mai immaginato di dovermi trovare a dividere cibo, stanze, ansietà e speranze (…)”.
Non è un “reality della sofferenza”: Ghirotti, che affronta la malattia in tutte le sue fasi, è animato da una grande passione civile e il suo racconto (che continuerà fino alla fine sulle colonne de “La Stampa”) ha una costante, che esprime con l’interrogativo che definisce la bruciante questione: “(…) qualcosa è accaduto nell’arte di organizzare le comunità: si è perduta per la strada qualche conoscenza tecnica oppure, peggio, siamo andati paurosamente indietro nel costume, e cioè nel modo di concepire il rapporto tra la società efficiente e i suoi membri impediti, malati, emarginati e tutti coloro che non sono in grado di far valere, lì, subito e con forza, le proprie ragioni?”.
Ed è proprio analizzando il rapporto medico-paziente (quasi una condivisione di fatiche e sofferenze) che Ghirotti utilizza probabilmente per la prima volta l’espressione “narrazioni sintomatologiche” (così pregnante nell’approccio narrativo del rinnovamento della medicina del terzo millennio) : “(…) Il vecchio medico di famiglia è scomparso: non rimpiangiamo il suo sapere, ma la sua capacità di rapporto umano (…) Abbiamo così un terapeuta di umore né gaio né triste, di temperamento né ottimista né pessimista, incline a tagliare corto sulle narrazioni sintomatologiche del paziente, più attento a vetrini, lastre, referti. Difficile cavargli parole di bocca (…) E’ a lui che faremo il processo per disaffezione nei confronti del malato?(…) Prima di rispondere guardiamo le corsie superaffollate, i sotterranei dove si pratica, al freddo, la terapia radiologica(..). Se queste sono le testimonianze dell’affetto che la società porta all’ammalato, è la società stessa che deve fare il mea culpa (…)”.
Nel suo narrare ci sono anche gli imprevedibili incontri (“Viene chi viene: chi viaggia per gli ospedali non può scegliersi il compagno di strada. Un lettino si fa libero e subito incominci ad almanaccare: e adesso, chi ci metteranno lì?”) come quello con il vecchio contadino che “ignorando tutti i conforti e gli sconforti del vivere moderno e urbano, teneva in grande allarme e ilarità l’ospedale”, ma da cui trarrà innumerevoli spunti di acuta saggezza. O quello con Vincenzo, il bambino del Sud curato e ricoverato per mesi e mesi nello stesso reparto per adulti, che commuove l’Italia nel racconto del suo desiderio di giocare e di poter vivere esperienze della sua età “Ci vorrebbe, mi disse, una sala da gioco negli ospedali, per chi ha voglia e possibilità di giocare, e anche una sala di studio, perché molti hanno desiderio di studiare, di leggere, di giocare a carte. Certo, ci vorrebbe anche il personale che aiutasse e sorvegliasse perché, se no, in breve si sfascia tutto. Non potrebbero i maestri o i professori che hanno del tempo a disposizione occuparsi qualche volta un poco anche dei ragazzini che stanno all’ospedale?”
Gigi Ghirotti muore nel 1974. Molte cose sono cambiate: il sogno di Vincenzo si è realizzato, oggi negli ospedali ci sono spazi e tempi adatti ai bambini. Ma a più di quarant’anni il messaggio di Gigi Ghirotti è ancora di stringente attualità e risuonano con forza le sue parole di grande significato sociale: “… Prima e più che sugli enti inutili, sugli enti locali, sulle piccole e medie industrie la stretta creditizia preme e strozza il più debole. Non è una novità...”. Nelle parole che concludono il suo ultimo articolo, postumo (“Il medioevo tante volte minacciato e dato per imminente è in arrivo… Nel crollo preconizzato dei grandi sistemi il primo mattone che frana è quello degli ospedali”), la necessità di uno sguardo “alto” sul futuro della Società e della sua capacità di prendersi cura delle fragilità in una prospettiva che non sia quella del “costo economico”, ma quella di un “investimento in umanità” che è dovere etico e dimensione di reciprocità da cui tutti –come dice Stefano Zamagni– scoprirsi arricchiti...
Nota bibliografica:
- Gigi Ghirotti: “Il lungo viaggio nel tunnel della malattia” Franco Angeli ed., 2002
- Gigi Ghirotti: “Viaggio tra gli ospedali” La Stampa, 1973/1974