Il "grande problema" del suicidio assistito
L'ATTESA
Un aspetto
della nostra società
ancora poco discusso
e che non trova unanimi
pareri delle parti interessate.
Intanto, i pazienti in questione
continuano a soffrire e attendono…
Da: Il mio giornale
Dico la mia - Evidenza - 10 Giugno 2023 - Ernesto Bodini
Di: Ernesto Bodini
Di tanto in tanto veniamo a conoscenza di pazienti affetti da patologie molto gravi, non solo oncologiche ma anche neurodegenerative come la Sla, la Sclerosi multipla, la Corea di Huntington, il morbo di Parkinson, il morbo di Alzheimer, le demenze senili, etc.
Alcuni di questi pazienti, la cui malattia è notevolmente in stato avanzato con una serie di conseguenze psicofisiche ed assistenziali, invocano (è il caso di dirlo) il diritto di porre fine alla propria esistenza. Una richiesta per certi versi legittima e che nel nostro Paese è ancora molto dibattuta, ma per una serie di ragioni giuridiche, etiche, religiose e culturali si tende per lo più a tergiversare nonostante le “sollecitazioni” non solo dei pazienti interessati ma anche di alcune associazioni e movimenti votati a sostenere questo diritto che, detto per inciso, va inteso sotto l’aspetto umano in particolare.
In buona sostanza queste Persone, per le quali mi permetto di usare l’iniziale maiuscola, chiedono di non soffrire e nello stesso tempo di non “essere di peso” a chi li assiste (famigliari, caregiver, volontari, etc.) sia pur con particolare dedizione e sacrificio.
Questa realtà sta mettendo a dura prova la coscienza di molti, in particolare i politici e il sistema sanitario, non solo perché sono in aumento le stesse patologie oncologiche e neurodegenerative, ma anche per la notevole gravità delle stesse e per tale ragione questi pazienti desiderano in piena coscienza affidare la propria anima a Dio… Solitamente si tratta di Persone in gran parte ancora giovani colpite dalla patologia da diversi anni e, definire questo periodo essere un calvario, è mero eufemismo. Per quanto si possa immaginare non si tratta di pazienti né stoici e né “precocemente” arrendevoli, e l’idea di incontrare la morte prima della data stabilita dal destino, sicuramente è stata valutata e maturata nel tempo… sofferenza dopo sofferenza.
Certamente taluni si saranno affidati alla propria fede, e magari cercato ulteriore conforto in persone di culto, o forse anche in medici, psicologici, etc. e, per quanto abbiano potuto avere una sorta di iniziale sostegno morale, quest’ultimo nulla può di fronte al dolore in quanto tale. Ma un aspetto per certi versi negativo di questa realtà sociale ed umana, è dato dalla quasi totale indifferenza da parte della collettività: di premorienza coscientemente desiderata (se non invocata) se ne parla ancora troppo poco, tant’è che i mass media dedicano un certo spazio soprattutto quando subentra un’azione che implica il coinvolgimento etico e legale, oltre a quello di cronaca in quanto tale.
È di questi ultimi giorni, ad esempio, il caso della 48enne Laura Santi di Perugia che da 400 giorni attende una risposta dalla propria Ausl 1. Il suo caso è riportato da “La Stampa” del 28 maggio scorso, in cui si evidenzia che la paziente, affetta da sclerosi multipla, il 20 aprile scorso ha presentato una “richiesta” di verifica delle condizioni per poter accedere all’aiuto medico alla “morte volontaria”, anche se di fatto l’interessata non intende morire… non ora. Ma intanto il dilemma dell’attesa continua ad esistere, ed è una sorta di ulteriore stillicidio il non sapere quando sarà possibile acconsentire alla umana richiesta. Pur senza entrare ulteriormente in merito alla vicenda di questa nostra connazionale, più intimamente sarebbe già buona cosa se ciascuno di noi provasse ad immedesimarsi in situazioni come questa, non solo per un piccolo gesto di solidarietà (seppur non percepito dai pazienti interessati a questa esperienza), ma anche per il fatto che dobbiamo considerare che potenzialmente potremmo trovarci a vivere una esperienza simile.
Dire che la vita è un dono prezioso è quanto meno retorico, ma personalmente ritengo utile aprire e mantenere un dialogo su questo tema, al fine di poter sciogliere qualche dubbio sui concetti di sofferenza e morte in simbiosi, pur sapendo che la Scienza medica (in particolare clinici e ricercatori) dedica quotidianamente ogni sforzo per combattere queste malattie. Personalmente ritengo che, purtroppo, non si sia ancora raggiunto un sufficiente grado di maturità soprattutto per comprendere e sostenere questi pazienti, che definirei di grande esempio etico e morale.