IL DOVERE
Appunti di prossimità
per comunità solidali...
Di: Ferdinando Garetto
e Monica Seminara
In che modo una comunità (quartiere, gruppo, associazione, condominio, colleghi...) può essere presente accanto a chi soffre e ai soggetti fragili? Il dolore spesso spaventa, imbarazza, o semplicemente vogliamo sfuggirlo. Ma tutti, volendo, possiamo fare qualcosa di importante. Sono le esperienze che incontriamo quotidianamente nel lavoro del Progetto Protezione Famiglia che il GITR sostiene al Gradenigo da molti anni.
Alcuni pensieri “sottovoce” ...
“Presenza discreta” A volte, soprattutto nelle comunità dove tutti si conoscono, le voci corrono fin troppo velocemente, e con il passaparola le situazioni si ingigantiscono e si modificano: facciamo a volte i funerali prima del tempo, o ci avviciniamo con parole di circostanza alle persone e nei momenti meno appropriati. Ci torna alla mente il “vissuto” di un adolescente che aveva saputo della grave malattia del padre, che poi così grave non era, dalle preghiere in un incontro comunitario! Ci vuole riservatezza; prima di parlare, anche se per slancio generoso di condivisione, chiediamoci sempre se abbiamo il consenso degli interessati e se ne stiamo parlando con le persone a cui a loro farebbe piacere dare proprie notizie.
“Esserci” non solo nei rosari e nei funerali: è risaputo che nel momento del lutto, tutti si stringono a chi resta...sino al funerale. Poi il tempo passa in fretta, e la routine riprende a consumare i rapporti. Dopo qualche settimana chi è rimasto da solo si trova davvero solo e anzi “disturba” se non torna rapidamente ad essere “quello di prima”. Una telefonata, un gesto concreto, per esempio interessarsi di chi non si fa più vedere con la frequenza di un tempo, possono essere di grande aiuto. Anche se stare vicino a chi è nel buio del dolore non è facile, costa, ma può essere il seme di rapporti nuovi da cui la vita può rinascere.
“Che cosa possiamo fare?” (Non basta dire “…se hai bisogno, chiama…”) Chi sta soffrendo, o chi si sta consumando nell’assistenza a un familiare, in genere “non chiama”. Ma quante volte nell’assistenza domiciliare abbiamo sentito suonare il campanello delle porte e abbiamo visto entrare in punta di piedi vicini di casa che ...avevano avanzato un piatto di minestra (“avete pranzato oggi?”) ...o stavano andando proprio in quel momento in farmacia (“vi serve per caso qualche medicina?”) o al supermercato (“mentre sono in giro vi porto un po’ di spesa?”). Sono meravigliosi quei vicini che “per caso” ci sono sempre!
Un pensiero spirituale... perché no? A volte per ritegno, a volte perché ce ne dimentichiamo... Ma più di tante parole a volte serve di più un pensiero gratuito (“prego per te... preghiamo per voi...”). Senza aspettarsi niente in cambio, e certamente con rispetto di chi non ne vuole nemmeno sentire parlare. Momenti di preghiera nella cappella di un ospedale durante un intervento chirurgico; amici radunati nella sala d’attesa di un reparto di oncologia per assicurare “una presenza”; incontri comunitari in una stanza dell’Hospice con il malato e la sua famiglia: spesso sono diventati radice di comunità rinnovate, nelle diverse culture e confessioni religiose. E quanto è concreto l’aiuto che ne può derivare per chi soffre...
Diffondere il bene che c’è… La Società intorno a noi ha bisogno di sapere che il bene esiste. Ha bisogno di non chiudere gli occhi sui tanti eroi quotidiani che per mesi, o anni, assistono quotidianamente un familiare, un genitore, un coniuge, un figlio. E abbiamo il dovere di mettere in risalto tutto quello che con fatica e generosità fanno le tante associazioni di volontariato, il “no-profit”, i servizi pubblici ospedalieri o territoriali, le unità di cure palliative domiciliari, gli Hospice. “Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”, si diceva un tempo. Dare voce alla foresta che cresce è un dovere e un impegno.
CONTINUA...