I Quadretti - La "caccia" al pedone
IL QUADRETTO
Di: Gianni Romeo
A Torino una scena
come tante:
anziana sfiorata dal monopattino
si spaventa e dice:
“Siamo ormai le vittime designate
per diminuire
l’inquinamento delle città?”
Questa è avvenuta sotto i miei occhi, perciò la racconto...
È ormai una scena quasi quotidiana nelle nostre città. Tarda mattinata, una signora all’apparenza molto anziana (scoprirò poi che ha soltanto un paio di anni più di me) alza nervosamente il bastone da passeggio verso il cielo ma di lassù nessuno l’ascolta e non parte il fulmine desiderato per incenerire l’incauto giovanotto che l’ha sfiorata sfrecciando con il monopattino. Sono a pochi metri, la sorreggo, è terrorizzata. La accompagno a sedere su una panchina che stranamente è in ordine. Uno dei divertimenti, definiamoli così, più di moda a Torino oltre a quello di dare la caccia ai pedoni con il monopattino è quella di spaccare le panchine. Mah…
Lei riprende colore e fiato. Ha voglia di parlare. Mi dice che era abituata a passeggiare sotto i maestosi alberi del parco Rignon ma è arrivato l’autunno, la temperatura scende ed è molto meglio una bella strada accarezzata dal sole. Cioè sarebbe molto meglio, ma non aveva messo in conto quegli indiani metropolitani con i pedoni nel mirino del loro arco. Mi chiede: chi ha inventato quei diabolici strumenti di locomozione? Storia lunga, semplifico: quei cosi hanno più di cent’anni, erano stati pensati per l’innocente divertimento dei bambini. Negli Anni Cinquanta le parrocchie avevano pure organizzato alcune edizioni del <Giro monopattistico d’Italia>. Poi l’evoluzione, sa com’è… Vanno pure a motore, non c’è più nemmeno il problema di dare slancio al mezzo con una gamba, li usano anche distinti signori in giacca e cravatta per andare in ufficio. Ma non bastavano le biciclette, dice, silenziose, governabili e con un bel campanello che trillava per annunciarsi?
Provo prudentemente ad addentrarmi in un discorso più ampio, dico dell’inquinamento che strangola le metropoli, l’atmosfera che piange, le stagioni che non sono più quelle di una volta, anzi non sono più stagioni, parlo del caldo africano, mi viene in mente la grandine che arriva quando vuole, pochi giorni prima erano caduti nel mio quartiere dei chicchi che se non fossi saltato subito in macchina mi avrebbero mezzo accoppato, così si sono accontentati di accanirsi con la macchina
E allora? Allora ecco le piste ciclabili per invitare giovani e meno giovani, donne e uomini a muoversi in modo autonomo, rapido, riducendo le attese dell’autobus e il numero di auto in circolazione, per esempio. Mi guarda perplessa: mio figlio sostiene che con le vie meno scorrevoli per via di queste piste ciclabili impiega il doppio del tempo a muoversi in auto e l’inquinamento resta tale e quale. E fa sfoggio di storia antica: così Torino, una città modello che tutti ci invidiavano, ben squadrata dai romani di un tempo, è diventata un imbuto come tutte le altre. Sorvolo, non ho la risposta pronta. Tento un’altra strada. Per impressionarla dico che proprio nei giorni scorsi i giornali avevano dedicato pagine inquietanti, persino catastrofiche sul futuro del mondo.
I ghiacciai si stanno sciogliendo, piove meno, la montagna ha sete, in compenso il riscaldamento atmosferico si accanisce alzando il livello dei mari. C’è già chi sostiene che città come Venezia, Londra, Tokyo fra un’ottantina di anni finiranno sott’acqua…
La donna sorride un po’ amaro, ha uno sguardo tenero, dice che sono stato molto cortese ad assisterla ma conclude: “Quindi lei vuole convincermi che Londra e Venezia si potranno salvare dando la caccia alle vecchiette con il monopattino?