Cartoline dal Passato - Alessandro Manzoni, Rileggiamo "I Promessi Sposi"
LA CARTOLINA
Di: Augusto Frasca
Croce o delizia.
Secondo sensibilità personale
e fortuna
di cadere nelle mani
dell’insegnante giusto…
Croce o delizia. Secondo sensibilità personale e fortuna di cadere nelle mani dell’insegnante giusto, un docente quindi capace di aprire la visione di un testo alla curiosità letteraria e non all’imposizione didattica.
Quella fortuna, in stagioni scolastiche lontane nel tempo, ebbe il sottoscrittore di queste brevi note, e in dosi massicce, al punto di considerare la lettura del testo firmato agli inizi dell’Ottocento da Alessandro Manzoni, e più volte successivamente riaperto da tensioni e stimoli mai venuti meno rispetto all’iniziale interesse, come una tappa irrinunciabile della propria costruzione culturale. Strane traiettorie, subìte nel tempo, quelle dei Promessi Sposi. Dopo il via libera al massimo riconoscimento tributato all’autore, di cui ricorrono centocinquanta anni dalla morte, dal padre riconosciuto della letteratura italiana, Francesco De Sanctis, al passaggio del secolo il testo incorse soprattutto nella critica riduttiva di Benedetto Croce, ‘… troppo il prevalere, nel testo, dei principi moralistici…’.
L’autorevolezza dell’intellettuale nato nell’abruzzese Pescasseroli fece spesso da argine ai compiacimenti disinteressati dei molti che assegnavano al testo un ruolo di primo rilievo nella letteratura europea del tempo.
Tra i più convinti dell’importanza del romanzo, della sua visione realistica della storia, della sua poetica e della perfezione dei ritratti umani ruotanti attorno alle figure dei protagonisti Renzo e Lucia, due esponenti della critica moderna, Carlo Emilio Gadda: ‘… l’alta e vasta creazione manzoniana… la sua suprema nettezza descrittiva…’, e Carlo Bo: ‘… nel romanzo mai il credente ha soffocato l’uomo, e l’uomo non è mai intervenuto nel dominio del credente…’. A testimonianza dell’eccezionale valenza poetica espressa nel romanzo e, appunto, della sua perfezione descrittiva, più ancora del celebratissimo Addio ai monti di Lucia, vale la pena porre all’attenzione dei fedeli lettori della Cartolina poche righe estratte da uno dei momenti più significativi dell’opera, l’episodio di Cecilia, quello relativo all’innocenza e alla tragica fragilità della bambina vittima tra le tante in una Milano oltraggiata dalla peste:
‘Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna il cui aspetto denunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata ma non cascante, gli occhi non davan lacrime, ma portavano segno d’averne sparse tante… portava essa in collo una bambina di forse nov’anni, morta; ma tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo… un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d’insolito rispetto, con un’esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo…’.
Ecco, ci fermiamo qui. Sempre sperando che nelle future generazioni un giovane allievo abbia la fortuna di imbattersi in un insegnante attento al testo, e non a suggerirne, o addirittura ad imporne, la memorizzazione.