Voci del '900 - Cicely SAUNDERS
LA RUBRICA
Cecily,
quella giovane ragazza
che inventò
le cure palliative
A cura di: Ferdinando Garetto
Sul sentiero di Cicely...
a cento anni dalla nascita
Il XX° secolo è stato attraversato da tragedie, crisi e profondi mutamenti culturali e valoriali. È stato anche il secolo delle intuizioni carismatiche, nate spesso proprio dalle grandi sofferenze dell’epoca, che hanno delineato possibili inaspettate risposte.
Quella di Cicely Saunders (1918-2005) rappresenta a pieno titolo una di queste esperienze carismatiche, vissuta interamente in campo medico nell’assistenza ai malati più gravi.
Cicely nel 1937 aveva 19 anni e una domanda: perché il dolore? I valori tradizionali e la religiosità della famiglia Saunders le “stavano stretti” e la sua ricerca l’aveva portata a iscriversi al corso di Filosofia nell’università di Oxford.
Chi avrebbe detto che molti anni dopo, nel 1981, sarebbe salita sul palco prestigioso della “Guldhall” di Londra per ricevere il Premio Templeton, il cosiddetto “premio Nobel della Spiritualità”? È probabile però che in quel momento tutta la sua vita le ripassasse davanti agli occhi come un film.
Quel corso di filosofia, infatti, non le aveva dato nessuna risposta soddisfacente. E così, Cicley Saunders aveva cercato un’altra strada.
Infermiera, assistente sociale, medico.
I venti di guerra erano sempre più impetuosi, e la giovane Cicely si chiedeva come avrebbe potuto condividere con i suoi coetanei il desiderio di un impegno concreto per la sua Nazione. E così, poco più che ventenne, diventa infermiera. Ma da subito è un’infermiera “speciale”: sempre alla ricerca dei più sofferenti, degli scartati, degli “inguaribili”. Frequenta le strutture che si occupano dell’accoglienza ai malati destinati a morire a breve termine, osserva con sguardo acuto le modalità di somministrare a derivati dell’oppio per lenire le sofferenze senza aspettare che siano troppo intense ed insostenibili. Le sue colleghe, e anche le infermiere più anziane, cresciute nei grandi insegnamenti di Florence Nightingale, la guardano con stupore per la sua ricerca degli “ultimi” e ammirazione per le sue indubbie capacità di cura del “corpo malato”.
Poi un forte mal di schiena, che la accompagnerà quasi come memoria indelebile per tutta la vita. Deve lasciare il lavoro di infermiera e diventa Assistente Sociale. Un ruolo originale, per l’epoca, che la porta ad entrare nelle case e nelle famiglie, scoprendo un’altra dimensione del dolore: la povertà e soprattutto l’impoverimento legato alla malattia. L’importanza delle “reti” sociali, familiari e comunitarie.
Ma –si dice nella sua biografia– aveva ancora nostalgia dei “suoi” malati. Il medico che lei accompagnava, il famoso chirurgo Barrett, la guarda sorridendo e le dice: “Signorina, vada a studiare medicina. Perché sono i medici che trascurano i sofferenti!”.
E così inizia la nuova avventura: a quasi 40 anni diventa medico, e da subito un “grande” medico, universalmente riconosciuto e stimato. I suoi articoli sulla Terapia del Dolore diventano i capisaldi di una nuova specializzazione. Non dimentica la sua radice di infermiera e assistente sociale, ed elabora il moderno approccio delle cure palliative basato sull’integrazione e la collaborazione in èquipe di diverse figure professionali, ciascuna con la sua dignità e autonomia.
I “pazienti fondatori”
Le cure palliative hanno una specificità: non nascono a tavolino o nei laboratori. Non si “spiegano”, ma si “raccontano”. Si sviluppano e crescono negli incontri quotidiani e nelle storie dei malati, delle famiglie, dei curanti. Fin dal primo decisivo incontro di Cicely, allora assistente sociale, con David. Una breve, intensa, storia di intima condivisione, con il sogno che da quella sofferenza potesse nascere qualcosa di nuovo e grande. David le lasciò la certezza di avere un’idea per cui vivere e tutto ciò che aveva: un orologio e 500 sterline: “sarò una delle finestre della tua casa”. Dirà Cicely nel discorso per il premio Templeton: “Ci vollero 19 anni per costruire la casa intorno a quella finestra”. Ma da quell’idea nascerà nel 1967 il primo hospice moderno, il St. Christopher di Londra.
Nella sua lunghissima attività la Saunders sviluppò le sue intuizioni scientifiche con una grande capacità di cogliere spunti e sollecitazioni dai momenti vissuti con i malati. Ne è un esempio il concetto di “dolore globale, descritto per la prima volta dopo un incontro con una paziente, Mrs.Hinson: “…sembrava che tutto facesse male… nessuno sembrava capire… mi sembrava che tutto il mondo fosse contro di me… Ora è meraviglioso ricominciare a sentirsi di nuovo bene, al sicuro…”. O la profonda riflessione sul tempo, nel rapporto con Antoni, un altro paziente “decisivo” nella sua storia personale. “Si può vivere un’intera vita in un attimo… Le ore buone e ricche restano per sempre. Le altre svaniscono in un nulla…”. Da questa visione dell’uomo, e non da un atteggiamento ideologico, le sue forti prese di posizione contro i progetti di legge sull’eutanasia; una legge che la autorizzasse, secondo lei, renderebbe ancora più fragili i soggetti deboli e sarebbe una profonda ingiustizia sociale. La sua ancora una volta è risposta concreta, valida ancora oggi: nei dibatti invita a venire in hospice, incontrare i malati, le loro famiglie e la comunità dei curanti. Cecily Saunders è morta nel “suo” hospice, continuando finchè possibile a lavorare nello studio affacciato sulla finestra di David, nel 2005. “Sono stata infermiera, sono stata assistente sociale, sono stata medico. Ma la cosa più difficile di tutte è imparare ad essere un paziente”.
Ancora oggi la sua attualità affascina chi si vuole dedicare alla cura, e le sue intuizioni appaiono percorsi “profetici” da approfondire nel dibattito etico e politico dei nostri tempi e da vivere nella quotidianità dell’incontro con i malati.
Riferimenti:
- Guido Miccinesi, Augusto Caraceni, Ferdinando Garetto, Giovanni Zaninetta,
Marco Maltoni: “Il sentiero di Cicely Saunders: la ‘bellezza’ delle cure palliative”
RICP La Rivista Italiana di Cure Palliative Vol. 1 Anno XIX Primavera 2017
- S. Du Boulay - Cicely Saunders: l’assistenza ai malati ‘incurabili’ - Jaca Book
- F. Garetto “Sul sentiero di Cicely” Città Nuova, 7/2017 - 21 giugno 2017