Longevità e (de)natalità
IL CONFRONTO
Statistica e demografia
si confrontano
(o si scontrano?)
con l’economia.
Quale sarà
il futuro?
Di: Luigi Giovannini
Negli ultimi decenni le analisi demografiche e statistiche riguardanti le evoluzioni della popolazione ed il relativo impatto sulla società, sullo sviluppo economico e sulla salute del pianeta hanno acquisito sempre maggiore importanza, a partire dalla memorabile e fondamentale pubblicazione del libro ‘’I limiti dello sviluppo” a cura del Club di Roma nel 1972, in cui già si sottolineava la possibile criticità della crescita contestuale di popolazione, industrializzazione e sfruttamento delle risorse. E sul pianeta eravamo meno di 4 miliardi; in 50 anni quindi siamo raddoppiati essenzialmente grazie a due fattori principali: natalità e longevità, che con andamento opposto (decrescente il primo e crescente il secondo), ma con effetto complementare hanno contribuito all’ aumento della popolazione mondiale fino agli attuali 8 miliardi.
Denatalità e longevità, secondo le stime degli esperti, continueranno a condizionare l’evoluzione demografica del pianeta, ma la decrescita del tasso di natalità limiterà più decisamente l’aumento della popolazione mondiale: nel mondo occidentale il fenomeno è già evidente e la Cina (il paese più popolato del mondo) nel 2022 ha registrato un calo della popolazione per la prima volta dal 1961 (circa 900.000 abitanti in meno rispetto al 2021).
Le analisi e le stime confermano un rallentamento significativo della crescita della popolazione mondiale: dal 2% annuo degli anni ’70, allo 0,9% registrato nel 2021 con tendenza ad ulteriore riduzione prevista anche per i prossimi decenni. E questo a fronte di un tasso di natalità (nascite per donna) che è passata dal 4,85 del 1970 al 2,3 del 2020 (Fonte: Banca Mondiale) e una longevità (aspettativa di vita) mondiale che è salita da 58 a 73,3 anni nell’ultimo mezzo secolo (Fonte: OMS). E dalle nostre parti l’andamento è ancora più marcato: in Italia le nascite sono già da diversi anni decisamente sotto il valore che consente di mantenere stabile la popolazione totale: rispettivamente 1,8 contro 2,1 nascite per donna. In tema di longevità il nostro paese occupa un ragguardevole secondo posto nel mondo con un’aspettativa di vita che supera gli 85 anni. Ci precede, di poco, soltanto il Giappone (Fonte: World Economic Forum). È interessante notare che entrambi i paesi non sono ai primissimi posti nel mondo per ricchezza pro-capite: il Giappone è 27mo e l’Italia segue anche qui al 28mo posto (Fonte: FMI).
Potremmo commentare bonariamente per consolarci che… i soldi non sono tutto nella vita e che in fin dei conti… basta la salute! In realtà, al di là delle facili battute, i problemi che nel medio-lungo termine l’Italia dovrà affrontare in conseguenza della mutata situazione demografica sono di grande impatto socio-economico e di notevole complessità, e per questo demografi, statistici ed economisti continuano ad interrogarsi e ad elaborare scenari evolutivi, che impongono a noi interventi e soluzioni correttive, se non vogliamo lasciare ai nostri figli e nipoti un’eredità pesante in termini qualità di vita’. Vediamo in sintesi i principali tra questi possibili scenari. Innanzi tutto il calo demografico avrà effetti importanti sulla crescita economica: storicamente è dimostrato che almeno la metà dell’incremento del PIL è determinato dalla crescita della popolazione. Una diminuzione delle nascite comporterà una riduzione della popolazione in età da lavoro, quindi meno occupati genereranno meno entrate e PIL in diminuzione.
Le ripercussioni più pesanti di questa dinamica saranno sul sistema previdenziale e di welfare in generale, entrambi condizioni indispensabili a rendere sostenibile il pesante debito pubblico italiano ormai alla soglia del 150% del prodotto interno lordo. Per una popolazione che registra una drastica flessione di nuovi nati (e quindi di futuri lavoratori) e che continua ad invecchiare l’equilibrio dei conti previdenziali, che si regge sostanzialmente su un sistema a ripartizione, in cui le pensioni sono garantite dai contributi dei lavoratori in attività, corre seri rischi di entrare in difficoltà. Gli italiani over 65 erano circa 11 milioni all’ingresso nel nuovo secolo; sono oltre 14 milioni attualmente e si stima che fra vent’anni saranno quasi 19 milioni, pari ad oltre 1/3 della popolazione. La spesa previdenziale si muoverà di conseguenza e necessiterà del ‘’supporto’’ contributivo di nuovi occupati.
La dinamica va affrontata tempestivamente per arrestare il declino demografico attraverso politiche adeguate di welfare e di sostegno alla natalità e contestualmente orientate alla crescita e all’occupazione: le stime dell’Istat segnalano entro il 2030 un calo degli “occupabili” tra i 30 e i 64 anni pari a 1,9 milioni di unità. Peraltro un segno premonitore (ed è un ulteriore fattore di criticità demografica strutturale) è già emerso nel computo della popolazione scolastica, che vede una riduzione per l’anno in corso di circa 100 mila unità’ rispetto al 2021 ed una proiezione a 1,4 milioni in meno entro il 2033. Un altro fattore critico legato all’andamento demografico del nostro paese (ma, come detto, non siamo soli e lo saremo sempre meno) è il progressivo invecchiamento della popolazione. Lo definiamo critico anche se rappresenta un’evoluzione positiva, perché le sue ripercussioni sul Sistema sanitario nazionale rischiano di pregiudicarne l’equilibrio e la sostenibilità economica. Una popolazione anziana ha bisogno necessariamente di maggiori cure ed assistenza rispetto ad una più giovane.
E qui emergono i primi problemi: siamo ai primissimi posti al mondo come aspettativa di vita, ma soltanto al ventesimo come spesa sanitaria pro-capite. Ma non basta: il progressivo invecchiamento riguarda anche la categoria dei medici. A fronte di una età media della popolazione italiana di 48 anni (Francia 42, Norvegia 41), quella dei medici della sanità pubblica è di 51 anni e quella dei medici di famiglia (il primo baluardo sanitario) è intorno ai 60 anni.
Non occorre andare molto oltre nell’analisi per concludere che se la situazione è già critica oggi, le prospettive future richiedo interventi tempestivi sul fronte della programmazione territoriale e per attrarre i giovani alla professione medica, evitando le fughe all’estero e garantendo loro buone condizioni economiche, di lavoro e sviluppo professionale.
Si torna quindi inevitabilmente a chiamare in causa la politica, nella sua accezione più nobile di “arte del governare” e di determinare le scelte più confacenti al bene comune e delle future generazioni; quelle scelte cioè che identificano gli “uomini di stato” e li distinguono dall’ uomo politico, ahimè sempre più attuale, che pensa solo alle prossime elezioni, se non addirittura ai sondaggi della prossima settimana.
È auspicabile che l’invecchiamento della popolazione porti con sé anche un aumento generale di saggezza e senso civico, proprio degli anziani: lo spazio e le possibilità di miglioramento sono notevoli. Superiamo il pessimismo dell’intelligenza e puntiamo sull’ottimismo della volontà: abbiamo il dovere di provarci, proprio pensando a chi verrà dopo di noi.
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