La scelta del "camice bianco" in corsia
IL RITORNO
Riecco il dottor WATSON
e SHERLOCH HOLMES
La celebre coppia
resa famosa da Conan Doyle
ripropone un dubbio:
medici o detectives?
Di: Davide Deangelis
“Elementare, Watson!” Chissà quante volte abbiamo letto, sentito o ripetuto questa frase, tra i più noti intercalari della letteratura mondiale. Diciamolo, il genio dell’investigatore londinese brillava ancor più fulgidamente a causa della bonaria goffaggine del suo partner medico, per il quale lo stesso autore, Conan Doyle, segretamente parteggiava, in quanto collega e per il disagio psicologico ed identitario nel quale, il suo personaggio, ormai celeberrimo ed amato, lo aveva confinato. Al punto da scrivere la parola fine sulla sua saga, eliminandolo.
Ma i lettori non gradirono e dovette assecondarli, firmando un nuovo capitolo, che narrava il suo ritorno.
Perché la convivenza con l’acuto Sherlock Holmes era particolarmente problematica? Forse per la sua sprezzante rudezza verso coloro che non lo raggiungevano nelle sue aggrovigliate spirali speculative, o forse per il suo temperamento scostante ed introverso, ai limiti della sociopatia, oppure ancora per i suoi biasimevoli vizi privati, che mal si conciliavano con la morale dell’età vittoriana? No, il protagonista dei molti romanzi polizieschi di successo era odioso, perché aveva sempre ragione. O meglio, l’uso che egli faceva della ragione non consentiva alcuna scappatoia. Era stringente, vincolante. Imprigionava la verità, l’unica, e non le permetteva alcuna via di scampo. Tutto risultava elementare, cioè semplice, coglibile, fruibile dalla mente del detective, proprio perché ogni aspetto dell’indagine veniva ridotto ad elemento, cioè a porzione, frammento, particolare, particella, unità e pertanto chiara e chiarificatrice. L’ambiente culturale in cui si snodavano le vicende dei due personaggi era quello di matrice positivista nel quale il medico, insignito del titolo di baronetto per la sua fortuna letteraria, Sir Arthur Conan Doyle, era cresciuto. La visione nettamente scientista di fine Ottocento, alimentata e giustificata dalla seconda rivoluzione industriale, ci permette di inquadrare la connotazione caratteriale del famoso detective. Ma non solo. Lo stesso autore, riferì in più di un’occasione di essersi ispirato ad un suo mentore, un medico in forza nell’esercito inglese, il cui acume, attenzione ed intuizione, gli consentiva di fare diagnosi quasi istantaneamente. Medicina e criminologia strinsero dunque un sodalizio, personificato rispettivamente da Watson ed Holmes, la cui proficuità persiste tuttora, nelle vesti della medicina legale e dello stesso ragionamento clinico, volto a scoprire la causa della malattia, o giudiziario, rivolto alla concatenazione di eventi che hanno condotto al delitto.
Se a volte si tende superficialmente ad imputare una responsabilità di una malattia ad un paziente, esattamente come la si ricerca in un comportamento criminoso, questa associazione mentale è dovuta al termine stesso della parola “causa”: in greco, infatti, αιτία significa sia causa efficiente, che colpa.
Il mondo greco era essenzialmente deterrninistico nella valutazione di specifici fenomeni, ed era solito rivolgere la propria attenzione in modo retrogrado ed insieme prospettico sull’origine di quelle manifestazioni: come e perché si verifica quell’evento? Che cosa influisce o è responsabile di quell’accadimento? Qual è quella sostanza, quell’elemento diremmo noi, che causa quella situazione, produce quella circostanza o determina quella malattia? Qual è l’eziologia, il cui etimo è a tale termine ricondotto, di quella patologia?
Ed ancora, qual è la causa di quel male morale, metafisico, che colpisce quell’uomo? Qual è l’origine della sua sventura? Capriccio divino, casualità o colpa atavica? La colpa dei padri ricade sui figli, secondo Eschilo. Se il mondo è pensabile come sequenza di eventi saldamente legati, per cui come recita la seconda legge della termodinamica, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale o contraria, qual è quell’elemento senza il quale essa non si verifica, in quanto necessario e sufficiente (post hoc ergo propter hoc)?
Echi di questo sillogismo di causa ed effetto giunsero nell’Inghilterra di fine ottocento, anche grazie allo sviluppo dello studio della fisiognomica e della frenologia, cha ha in Cesare Lombroso, il suo più eminente e strumentalizzato interprete. La superbia meccanicistica e l’illusione razionalistica di quegli anni pensavano di ridurre anche la psicologia dell’individuo alla sua sfera biologica: Darwin in fondo è collocabile in quel periodo, Freud arriverà dopo poco. L’osservazione di Holmes dei particolari, gli consentiva in modo incontrovertibile ed inconfutabile di procedere induttivamente allo scioglimento dell’enigma poliziesco, che non era ambivalente ed infido come quello di Edipo. I connotati del criminale, la sua costituzione, gli ambienti che frequentava, i rapporti parentali e le sue abitudini gli permettevano un inquadramento rigido, in cui incasellare il soggetto e pertanto prevedere le sue mosse ed incastrarlo.
CONTINUA...