La consolidata e coinvolgente esperienza della Fondazione F.A.R.O.
LA RICORRENZA
A Torino
il seguitissimo convegno
di operatori sanitari
e di volontari,
per valorizzare sempre
di più l’utilità dell’assistenza
in hospice e domiciliare
di malati fragili
Di: Ernesto Bodini
Nell’immenso arcipelago delle attività di assistenza sanitaria in stretta sinergia con il volontariato, in Piemonte da 35 anni la Fondazione F.A.R.O. (Onlus) continua a dare il meglio di sé attraverso l’opera in tre hospice e a domicilio in Torino e provincia.
Con la certificazione UNI EN ISO 9001 del 2105 si annovera tra le istituzioni sanitarie dalle caratteristiche di elevato valore professionale e di apporto umanitario. Un “biglietto da visita” che ha giustificato l’ambiziosa divulgazione con un convegno dal significativo tema “Il dire e il fare. La comunicazione del malato fragile” (con particolare riferimento alla legge n. 219 del 22/12/2017) convegno al quale sono intervenuti numerosi relatori seguiti da un folto pubblico di semplici cittadini e di volontari anche di altre realtà.
Con l’introduzione della sua lettura magistrale sulle varie tappe della relazione medico-paziente nella storia della Medicina, il teologo e psicologo Sandro Spinsanti ha ricordato che nel corso dei secoli lo stretto rapporto tra il dire e l’agire si è ampiamente evoluto in quanto il dire si sovrappone a quello del fare e, nel porre l’interrogativo su chi deve prendere le decisioni in Medicina, ha sottolineato che le informazioni sono decisive relativamente al percorso da seguire, ovvero all’iter diagnostico-terapeutico nei confronti del paziente. In questo contesto il relatore ha dato ampio spazio agli sviluppi culturali, lasciando poi la parola al giornalista Rai Michele Ruggiero, la cui relazione ha riguardato il cambiamento della comunicazione nelle malattie a esito infausto, ponendo l’accento soprattutto sugli effetti dell’informazione e del relativo linguaggio.
Un tempo si diceva (e non è accettabile) che “una persona è morta per un male incurabile” e anche se corrispondeva al vero, dietro a quella affermazione si celava il modo di contrastare (se non debellare) la malattia e non accettarla come un nemico impossibile da sconfiggere. «Nel tempo – ha spiegato – chi faceva informazione nel dire che la malattia è battibile, si imponeva a se stesso e agli altri di ascoltare come la malattia poteva essere sconfitta, e di come si poteva stare accanto ad un malato. Era certamente un nuovo “status” mentale che ha impegnato molte generazioni di pazienti, di familiari e anche di medici. Il verbo “combattere” non è improprio perché il tumore è una malattia che noi dobbiamo contrastare in un “quadro di pace”. Da decenni il nostro popolo vive in pace avendo sviluppato un modello di vita che, a sua volta però, ha sviluppato le potenzialità del tumore.
In effetti è una malattia di questa società moderna (probabilmente lo era anche dei secoli scorsi, nda) perché è “ingiusta”, proprio perché appartiene ai nostri stili di vita... Tutto ciò ci ha permesso di vivere più a lungo ma al tempo stesso di essere consapevoli che è doveroso contrastare questo male, e i relativi problemi che accompagnano la nostra quotidianità». Va da sé che l’importanza dell’informazione deriva dal riuscire a dare un quadro unitario o scomposto di tutti questi fattori...; inoltre, se si attribuisce a questo scenario un rapporto unitario con la necessità di curare la malattia, e avere rapporti con i medici e le strutture sanitarie, si ottiene una maggior forza per capire come la società può e dovrebbe cambiare, anche rispetto alle malattie in genere. Aspetti che portano a considerare inoltre il problema del welfare in visione dell’aumento esponenziale dei tumori nei prossimi 30 anni e, a riguardo, si tratta di capire come destinare le risorse per la salute, di sapere quali sono gli impegni della politica e di conseguenza quali sono le eventuali rivendicazioni collettive. Un problema non certo secondario per una società civile sempre più in evoluzione con la visuale in ogni direzione sociale e politica.