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Il malato oncologico nel contesto della famiglia: Testimonianza

Analizzare e descrivere l’impatto che la diagnosi di una malattia oncologica produce in un contesto famigliare è impresa ardua.
Chiunque abbia dovuto affrontare l’esperienza di vivere a fianco di una persona cara malata di tumore ne conosce perfettamente la complessità e il peso a tutti i livelli: fisico, psicologico, sentimentale, relazionale, ecc.
Il tutto reso ancora più difficile dalla consapevolezza che la persona malata che ci sta a fianco è in condizioni di maggiore difficoltà e fragilità di noi e quindi più bisognosa del nostro aiuto e supporto, nonchè della nostra serenità e fiducia.
Ancora più arduo (meglio forse dire, inopportuno) cercare di trarre indirizzi, suggerimenti o addirittura ‘’manuali d’istruzioni’’ dall’esperienza fatta. Sicuramente più opportuno parlare semplicemente di testimonianza, dalla quale ciascuno può trarre spunti di riflessione se e nella misura in cui il contesto di riferimento lo consente.
 
Ho vissuto a fianco di mia moglie il cammino della malattia per 8 anni. Franca era un medico. Nonostante questo anche noi, come molti, forse tutti, non eravamo per nulla preparati ‘’all’evento malattia’’ in generale, e oncologica in particolare; ci siamo quindi trovati ad affrontare improvvisamente questo ‘’intruso’’ invadente, sconvolgente, ignoto, che irrompeva nella nostra vita incutendo ansia e paura; costringendoci a rivoluzionare le nostre abitudini, i nostri programmi; obbligandoci a guardare il futuro con un’ottica completamente diversa. Momento molto difficile.
 
Per tutti: paziente e famigliari.
Ricordo perfettamente la successione convulsa di interrogativi senza risposta, lo stato di ansia pressante sul da farsi, l’accavallarsi di speranze e preoccupazioni, la percezione del desiderio istintivo e forte di aiutare e la paura di non farcela, di non essere all’altezza delle esigenze. Un tumulto di sensazioni che si susseguivano lasciando dietro uno strascico di tristezza e preoccupazioni. Tra queste quella dei figli, con i quali dovevamo condividere e gestire la nuova, difficile realtà della malattia di mamma.
Quasi contestualmente mi accorsi in quei primi momenti che si stava facendo strada nella mia mente un convincimento: dare, diffondere serenità in famiglia avrebbe aiutato tutti ad affrontare le difficoltà; non nascondere la gravità del problema, ma inserirlo tra le altre cose importanti di cui occuparsi e pre-occuparsi, dare più importanza agli strumenti e alle terapie per combattere la malattia piuttosto che tormentarsi sull’incertezza dell’esito, sforzarsi per gestire e controllare il problema, focalizzarsi più sulle cose da fare oggi invece che interrogarsi sul futuro più o meno prossimo e incerto, e, infine, avere fiducia che il buon Dio non ci avrebbe messo alla prova al di sopra delle nostre forze.
 
Abbiamo condiviso e adottato questo approccio con buoni risultati, che ci confortavano e motivavano ad andare avanti: dare, diffondere serenità permetteva a sua volta di ricevere serenità e fiducia. Avere delle cose belle, presenti o imminenti, in cui immergersi o a cui pensare aiutava moltissimo a tenere lontane nel pensiero quelle più incerte e più tristi. Abbiamo potuto constatare che questo approccio aiutava Franca e contestualmente noi famigliari ad aiutare lei.
Lo stesso atteggiamento abbiamo poi cercato di instaurare e mantenere nella vita di relazione con gli altri componenti della famiglia e con gli amici. Di fronte alla malattia normalmente la prima reazione è quella di chiudersi, di ridurre i contatti con gli amici e con il mondo esterno in generale
Abbiamo cercato di reagire e di ‘’rompere il cerchio’’ e compatibilmente con le tempistiche delle terapie e dei ricoveri per interventi chirurgici (4 in 8 anni), abbiamo continuato a frequentare parenti e amici, a condividere con loro viaggi, vacanze e incontri di spiritualità (siamo una famiglia cattolica), ricevendo da loro supporto e partecipazione nella misura in cui vedevano in noi la serenità di condividere la loro vicinanza e amicizia, pur nella difficoltà della malattia.
 
Riconosco e ricordo che lo sforzo di volontà iniziale e la forza d’animo per vincere la resistenza psicologica furono notevoli. Il fattore vincente fu la condivisione della scelta tra me e Franca e la consapevolezza che sarebbe stata la scelta giusta così come lo era stata in famiglia e che il farlo insieme, di comune accordo avrebbe reso il compito più facile.
E così è stato, creando un presupposto favorevole anche per affrontare il lavoro con la medesima serenità d’atteggiamento, considerando l’attività lavorativa come un’opportunità per affrontare e sopportare meglio la malattia, pur con le inevitabili problematiche legate alla necessità di conciliare gli impegni sui due fronti.
Questo in sintesi il cammino fatto e l’esperienza vissuta vicino a mia moglie durante la malattia.
 
Come detto all’inizio si tratta di una testimonianza, dalla quale ciascuno può trarre o meno suggerimenti, tenuto conto delle situazioni individuali e del contesto in cui ciascuno si trova a vivere e ad operare.
Una cosa mi sento di confermare e ribadire come aspetto peculiare della mia esperienza: il fatto di essere una coppia affiatata e molto unita è stato un fattore determinante.
Come in tutte le situazioni difficili della vita, anche chi si trova a dover lottare contro la malattia oncologica cerca più o meno inconsciamente di appoggiarsi ad una persona vicina fisicamente e psicologicamente.
Poterla trovare è di grande aiuto per il paziente e di grande conforto per chi gli è stato vicino.
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