I volti della sofferenza: incontri di sguardi
IL CONVEGNO
Il titolo di questo convegno
evoca molte suggestioni.
La prima è quella dei “volti senza volto”
negli ospedali.
Non sono i ricoverati, né gli operatori:
sono i volti delle tante persone
che affollano i corridoi, spesso a disagio
alla ricerca di un’indicazione...
Di: Ferdinando Garetto
Fonte
Il titolo di questo convegno evoca molte suggestioni. La prima, quasi per un’immediata associazione di idee, è quella dei “volti senza volto” negli ospedali. Non sono i ricoverati, né gli operatori: sono i volti delle tante persone che affollano i corridoi, spesso a disagio alla ricerca di un’indicazione (provocando spesso, a loro volta, disagio e insofferenza).
Volti che “prendono volto” quando nel foglio che hanno in mano (un esame, una visita particolare ⌈…⌉) o nella loro domanda («dov’è la terapia intensiva?», «come raggiungiamo la camera mortuaria?») si coglie la preoccupazione per un problema inatteso, l’angoscia per un familiare, lo sgomento per una perdita ⌈…⌉.
I corridoi dell’ospedale sono una “palestra” di umanità, ci spiegano quanta sofferenza può esserci dietro un atteggiamento che disturba, o che ci pare “strano”: l’ipotesi di una sofferenza profonda dell’altro (chi non ne vive?) potrebbe modificare molti dei nostri incontri (o scontri) quotidiani.
Dr. Ferdinando GARETTO
Medico oncologo palliativista
Convegno: I volti della sofferenza
Facoltà Teologica
Torino 28 Settembre 2019
Bioetica News Torino
I “volti” richiamano quindi “lo sguardo”: è in questa prospettiva che prende significato e può essere preso in carico quel “dolore spirituale” che è la dimensione meno esplorata di quel “dolore globale (fisico, psicologico, sociale e – appunto – spirituale) nella grande intuizione originaria di Cicely Saunders, fondatrice del primo hospice moderno e delle cure palliative.
La seconda suggestione viene da una riflessione condivisa alcuni anni fa con un vivace gruppo di dialogo fra persone di “diverse convinzioni” (credenti e non credenti) proprio sul tema del dolore. Lontani – tutti, credenti e non credenti – dal tentare di definire un senso “del” dolore, ci si era ritrovati nel tentativo di riflettere sulla prospettiva di ricerca di senso “nel” dolore, soprattutto quello più lancinante e assurdo. Ne era nato un convegno di tre giorni proprio dal titolo «Il senso nel dolore? Prospettive di dialogo» (Castel Gandolfo, Marzo 2017) in cui il filo conduttore era stato quello dei tre giorni decisivi, quel “triduo” che misteriosamente interroga da due millenni la riflessione dell’umanità.
È su quel filo conduttore che vorrei condividere alcune considerazioni sui “volti delle cure palliative”, di quella sofferenza che si manifesta e può essere accolta solo all’interno di un percorso di cura. Di questo percorso sono “i passaggi” i momenti più delicati (la diagnosi, la sospensione dei trattamenti specifici, l’inzio delle cure a domicilio o in hospice, il distacco ⌈…⌉).
Prof. Don Mario ROSSINO
Teologo morale e bioeticista
Docente Emerito
alla Facoltà Teologica di Torino
mentre conclude il Convegno:
I volti della sofferenza
Torino 28 Settembre 2019
Bioetica News Torino - F. D’Angelo
Il primo passaggio, quando la malattia sta peggiorando e vengono proposte le cure palliative, richiama il “Venerdì’”: un grido apparentemente senza risposta («Perché?»), la paura dell’”Abbandono”. Nel momento di maggior fragilità fisica e psicologica, la proposta di cambiare luogo di cura, di trovarsi a essere seguiti da nuovi Curanti, fino a quel momento sconosciuti. «Che cosa sanno di me, della mia storia?», «chi deciderà le terapie?»”, «Dove andrò se starò male?”». È fondamentale, in questa fase, restituire l’interezza della persona proprio attraverso lo sguardo, entrando nelle case in punta di piedi, cercando nelle foto di famiglia, nei racconti di vita (“medicina narrativa”) e nel contatto con i precedenti Curanti di ricostruire l’unicità e l’identità della persona che abbiamo davanti. L’attenzione alla dimensione spirituale non può essere demandata a un “questionario di Qualità di Vita”: è una relazione profonda, in genere che non richiede troppe parole, che si costruisce nell’incontro e – come dicevamo − nello sguardo.
A sinistra il Prof. Giorgio PALESTRO
Preside Emerito Scuola di Medicina Università di Torino (relatore)
A destra il Prof. Enrico LARGHERO
Medico, teologo e bioeticista (moderatore)
Facoltà Teologica di Torino
Convegno: I volti della sofferenza
Torino 28 Settembre 2019
Bioetica News Torino - F. D’Angelo
Dopo l’incontro, inizia un tempo speciale, che è anche il “tempo delle cure palliative”: come diceva la Saunders, un tempo fatto di intensità e profondità più che di durata. I momenti preziosi sembrano passare in un attimo, ma restano per sempre.
È il “Sabato”, l’attesa, la presenza, apparentemente senza più un passato (il venerdì) e ancora senza “la domenica”. Quello “stare” (esserci) che è il valore più pregnante delle cure palliative garantite da équipe formate, presenti e concretamente reperibili. Quella fase in cui “diventiamo di casa” condividendo i momenti decisivi di una famiglia, che fino a poco prima non conoscevamo e per cui eravamo dei perfetti sconosciuti. Si visita, si parla, si prende il caffè, si gioca con i bambini ⌈…⌉ si condividono paure, bellezze, scoperte. Ci si rende conto che non c’è tempo da perdere, perché davvero «⌈…⌉ Tempo perduto sarebbe il tempo in cui avessimo non amato» (Bonhoeffer). Si fa un pezzo di strada insieme, fino al passaggio decisivo, che arriva sempre inaspettato, anche quando da lungo tempo atteso.
Può sembrare un paradosso, ma la “Domenica” nelle cure palliative è proprio quel momento, in cui dopo aver fatto tutto, dopo aver assistito, medicato, curato, somministrato farmaci, a volte ci troviamo in una stanza, appoggiati al muro, a fare da “sfondo” all’ultimo bacio e all’ultimo abbraccio. Quel momento del “passaggio”, in cui sembra impossibile che “non ci sia più” chi fino all’stante prima respirava, e poco prima parlava, confidava, ci aveva salutati per l’ultima volta.
Lavoriamo con i morenti e vediamo ogni volta la resurrezione», diceva ancora la Saunders. In quel legame fra «⌈…⌉una pagina luminosa di misterioso amore: l’Unità, e una pagina lucente di misterioso dolore: Gesù abbandonato», diceva a sua volta Chiara Lubich. Quante volte abbiamo visto la resurrezione in quella certezza, che non è solo dei credenti, che l’“Amore resta” (così Teresa e Ruggero Badano, subito dopo la morte della figlia Chiara, ora Beata), e resta per sempre. È quel rapporto inscindibile fra Amore e Dolore che non si può spiegare razionalmente. Diceva una donna che mi raccontava l’immenso dolore dopo la morte del marito: «È un dolore grandissimo ⌈…⌉ del resto, bisognerebbe non essersi amati per 50 anni per non soffrire ⌈…⌉ Ma se l’alternativa fosse non essersi amati così, preferisco questo dolore.
Seguiranno il tempo del lutto, del supporto necessario, del bisogno di comunità, della vita “segnata” che riesce a ricominciare: “volti”, “sofferenza”, “sguardi” che si richiamano e ci richiamano a un perenne bisogno di reciproca comune umanità.