Attività fisica e tumori... perchè no?
LA DOMANDA
Anche i malati
possono praticare attività fisica,
indipendentemente
dalla patologia?
E questo vale anche
per i malati di tumore?
Di: Davide Deangelis
È opinione diffusa che praticare attività fisica prevenga molte malattie, tempri l'organismo contro patologie proteiformi, preservi dagli agenti infettivi più resistenti, sia consigliabile ad ogni età ed in qualsiasi momento della nostra vita.
Quotidianamente, si impegnano in sport ed in complessi esercizi ginnici, donne in gravidanza, anziani, malati. Ma tali convinzioni ed i comportamenti che ne conseguono, a quali fondamenti scientifici attingono la propria ragion d'essere? Da quali evidenze scaturiscono i propri assunti? Davvero la ginnastica può sortire effetti onnicomprensivi ed universali, indipendentemente dall'età anagrafica, l'intelligenza motoria acquisita in vita, le caratteristiche genetiche di cui si dispone, lo stato di salute di cui si gode? Anche i malati possono praticare attività fisica, indipendentemente dalla patologia? E questo vale anche per i malati di tumore?
Senza addentrarci sulle ragioni che hanno trasformato il concetto sociale di salute e per converso quello di malattia, mitigandone la categorizzazione formulata dall'OMS circa 40 anni fa sulla antinomia salute/malattia, occorre tuttavia considerare quanto siano radicati i pregiudizi inerenti al potere preventivo e terapeutico dell'attività fisica, in tutte le sue forme, e quelli riguardanti lo status di malato oncologico, quasi fosse una tipologia antropologica cristallizzata ed immutabile. In realtà, è ragionevole ritenere che lo sport, l'attività fisica, la ginnastica o più semplicemente il movimento possano essere utili alla salute psicofisica di ogni paziente affetto da neoplasia, ovviamente se ridimensionato alle sue condizioni cliniche.
L'epidemiologia denuncia un aumento dell'incidenza mondiale di malati di tumore, associata ad una maggior sopravvivenza: se ne deduce che nel futuro avremo più pazienti oncologici, con stadi evolutivi più durevolmente liberi da malattia e con sintomi interferenti la qualità di vita, meglio controllati. In effetti, da quanto emerge dai sondaggi e questionari censiti nelle strutture ospedaliere, territoriali e domiciliari i deficit della deambulazione, connessi al calo di forza, correlato alla fatigue e agli impedimenti motori dipendenti dalle menomazioni fisiche o derivanti dagli interventi chirurgici, nonché la terapia farmacologia o la progressione stessa della malattia, risultano essere l'impaccio motorio, la disabilità emotivamente più sofferta.
L'incapacità di svolgere autonomamente le normali attività del quotidiano, ancor più se aggravata dal sintomo del dolore, contribuisce sensibilmente alla riduzione del tono dell'umore, fino a determinare l'insorgenza o la recrudescenza di quadri depressivi.Sotto questo rispetto, quando per ragioni organizzative o cliniche non vi sono indicazioni all'intervento fisioterapico o riabilitativo, nella sua accezione
più ampia di recupero e conservazione delle abilità psicofisiche dell'individuo malato, il movimento e l'attività fisica possono ricoprire un ruolo ancillare e sostituivo, quando non additivo del programma terapeutico.
Più dettagliatamente, il mantenimento della flessibilità articolare e muscolare consente di contrastare gli effetti negativi dell'immobilità, scomponendo i compensi muscolari patologici ed antalgici; l'incremento della forza, a corpo libero o con lievi sovraccarichi, permette di migliorare l'uso di eventuali ortesi ed apparecchiature di sostegno, quando non di limitarne l'utilizzo; una modesta attività fisica aerobica (camminata, jogging, cyclette, trekking, nordic walking, nuoto, ciclismo, pattinaggio, canottaggio, sci di fondo), cioè basata su ripetizioni cicliche di gesti motori, che impegnano in modo ritmico e simmetrico numerosi segmenti motori, coinvolgendo in modo uniforme e regolare l'apparato cardio-
respiratorio, garantisce un rinforzo del miocardio, un miglioramento della perfusione cerebrale, un incremento degli scambi respiratori polmonari, una minor resistenza insulinica e vascolare, un implemento delle difese immunitarie, oltre che un'influenza positiva del tono dell'umore.
Qualsiasi esercizio fisico deve essere declinato e modulato sulle condizioni cliniche del soggetto, valutando la terapia farmacologica in atto (chemioterapici con effetti cardio o neurotossici), il livello di immunocompetenza, le pregresse o attuali limitazioni fisiche (amputazioni, fratture...), le eventuali patologie concomitanti (diabete, ipertensione, malattie neurologiche...) ed il contesto sociale e famigliare.
Insomma, lungi dall'attribuirne un valore taumaturgico, quasi una sorta di panacea per ogni affezione, l'attività fisica va promossa, quando non espressamente vietata, ma adattata alle esigenze e risorse della persona, contemperando le istanze cliniche ed evolutive della malattia.