"Le Parole che Curano" - La Responsabilità
LA RUBRICA
Che fine farà
la Responsabilità?
Esistono parole che hanno
il peso e l’immutabilità
della roccia:
tanto più significative
quanto più approfondiscono
nel tempo, come gli archetipi
della nostra primitiva condizione umana (amore, morte, famiglia…).
A cura di: Davide Deangelis
Altre invece assumono la consistenza e la radicalità di leggeri sassolini confluiti casualmente nel greto del fiume della linguistica, come i tanti neologismi mutuati da altre lingue, i termini “di moda”, quelli assorbiti da un determinato slang, o derivati da terminologie inerenti ai nuovi prodotti tecnologici. Altre ancora rassomigliano più a delle vele, che ora si ammainano, ora si gonfiano a seconda di quanto intensamente ed in che direzione soffia il vigoroso e capriccioso vento della storia.
È il caso di concetti ponderosi e densi come libertà, dignità o responsabilità. Questo ultimo termine, in particolare, ha assunto significati diversi, complementari ed a volte controversi nel corso dei secoli. Si dice che dobbiamo essere responsabili delle nostre azioni, che occorre mantenere un comportamento responsabile in determinate situazioni, che grandi poteri comportano grandi responsabilità, che i genitori o i proprietari dei cani sono responsabili di danni causati rispettivamente dai loro figli o animali, addirittura che dobbiamo bere o giocare responsabilmente.
Che cosa vuol dire dunque “responsabilità”? Una prima etimologia ci suggerisce che essa è la condizione, l’atto di rispondere di una determinata azione. Una sorta di riconduzione all’attore o agente della paternità di quell’azione o comportamento. Questa prima accezione del termine è anche la più antica e riposa nel concetto di imputabilità, ossia nella determinazione del soggetto che ha causato quell’azione. Ciò che ha cagionato il movimento di un ente o il cambiamento del suo stato di quiete, secondo Aristotele.
Responsabile è dunque chi ha prodotto la causa di una modificazione di uno stato, di una condizione pregressa. Nelle fascinose pagine del saggio Karman, Agamben ricostruisce il percorso giuridico che ricongiunge il concetto di causa a quello di colpa, dall’idea di azione a quella di crimine. Questo significato di responsabilità ha un valore “antecedente” secondo il bioeticista Turoldo, perché insiste nel ricercare una connessione tra azione e causa, senza soffermarsi sull’intenzione dell’agente. In effetti questa prima definizione affonda le sue radici nel pensiero greco, così attento all’origine, all’inizio dell’idea dell’essere.
Il diritto romano, nelle parole di Ulpiano (cogitationis poenam nemo patitur) proverà a scorporare l’intenzione, il pensiero dell’azione e la sua effettiva, materiale realizzazione, a cui sola consegue una sanzione. Respondere in latino significa mantenere, rispettare una sponsio, una promessa, esattamente come due amanti si garantiscono con riti e parole un’unione affettiva ed economica.
Responsabile è dunque colui che risponde civilmente e penalmente dello spergiuro, dell’infrazione di un patto, di una promessa che aveva garantito di osservare. Agostino ed Abelardo si impegneranno per complicare questo meccanismo giuridico, soffermandosi principalmente sul concetto di dolus, o intenzione criminosa, e libero arbitrio, scindendo la responsabilità morale da quella giuridica. Possedere una volontà malvagia, meditare un delitto che non si compie, rende responsabili moralmente, ossia spiritualmente, sebbene non si sia perseguibili legalmente? Raskol’nikov è già colpevole moralmente, e quindi responsabile, nel momento in cui ordisce di uccidere la sua padrona di casa, prima ancora di commettere il crimine, oppure no? Per Dostoevskij non ci sono dubbi: pensiero ed azione sono tutt’uno.