I Quadretti - Tokio 2020, l'Olimpiade "ammanettata"
IL QUADRETTO
Di: Gianni Romeo
A Tokyo il mondo sportivo
si confronta
chiuso in una bolla,
senza pubblico,
senza contatti fra gli atleti,
senza gioia.
Ma – si – deve – fare
<Care Olimpiadi scusate il ritardo, stiamo arrivando>. È uno dei tanti titoli che riportano l’attenzione sul massimo evento sportivo del pianeta, più di 200 Nazioni presenti, manca soltanto la Corea del Nord, dopo un anno tondo di attesa. La scorsa estate sarebbe stata follia sfidare la pandemia. E in molti nel Giappone che dal 23 Luglio all’8 Agosto ospita la patata bollente dei Giochi ritengono che la follia abiti ancora lì. Il fronte dei no resta numeroso.
È una cifra a tanti zeri quella dell’esercito che ha eletto Tokyo come capitale dello sport, circa 12mila atlete/atleti, ma la cosiddetta famiglia olimpica, accompagnatori, dirigenti, medici, tecnici, giornalisti, sponsor e via dicendo fa lievitare la stima almeno a quattro volte, tutti perfettamente consapevoli di andare in prigione, non alla festa della più bella gioventù.
Il messaggio che ho ricevuto giorni fa da una dirigente del Coni, Rita Bottiglieri, ex azzurra dell’atletica, è chiaro: < Faccio parte della missione italiana a Tokyo ed entrare in Giappone sarà per tutti un’impresa titanica viste le tante procedure e restrizioni messe in atto. I presidenti federali saranno rinchiusi negli alberghi, molti coach non potranno seguire gli atleti al momento di scendere in campo, Casa Italia blindata o per pochi eletti, giornalisti recintati... Davvero un percorso in salita. Da mesi lavoro a questo evento e ancora prima di partire già sono alla canna del gas. Il nostro piccolo gruppo farà praticamente da cavia. Primo obbiettivo uscire vivi dall’aeroporto…>.
È un’Olimpiade quasi virtuale obbligata a rinnegare il suo cuore e il suo animo, sempre aperti ai contatti, parole, idee, bianchi e gialli e neri a passeggio insieme nel Villaggio, a tavola, negli allenamenti, nel relax, in gara. Ora ognuno chiuso nella sua abitazione, si esce a comando, conferenze stampa attraverso il video…
Ho seguito una decina di edizioni dei Giochi fin da Mexico 1968, uscendone sempre arricchito spiritualmente e professionalmente, ma questa è un’altra storia. Alle Olimpiadi di Roma 1960 Livio Berruti che andava a passeggio mano nella mano con la stellina americana dello sprint Wilma Rudolph è un ricordo o sembra un sogno?
E poi… Stadi quasi deserti, i grandi impianti che attendevano famelici una folla pittoresca ed entusiasta vietati in extremis anche al pubblico giapponese. Frontiere sbarrate per i turisti stranieri, soltanto applausi virtuali via etere. Anche il logo dei Giochi sembra irreale, campeggia ovunque Tokyo 2020, il tempo dello sport si è fermato a un anno fa. Il simbolo vuole ricordare lo stop per pandemia, ma nasconde anche il problema del risparmio, aggiornare e modificare il logo sarebbe costato un patrimonio. E con il ritardo mezzo patrimonio già l’hanno perso il Giappone e lo sport. L’Olimpiade si fa dunque a dispetto di tutto, solo per recuperare il denaro investito? È una macchina da soldi che non si può fermare?
No, non è proprio così.
Dei Giochi hanno un disperato bisogno il mondo dello sport e soprattutto gli attori, gli atleti di questa generazione e di quelle a venire che stanno dedicando preziosi anni di vita all’appuntamento. Si parla spesso a sproposito degli interessi commerciali che ci sono dietro la vicenda, ma oltre il 90 per 100 delle risorse ricavate dai Giochi (contratti televisivi e sponsor internazionali in primo luogo), e sono miliardi di dollari, vengono restituiti dal Cio (Comitato Olimpico Internazionale) a questa ONU dello sport, sono ossigeno per le federazioni internazionali, atletica, nuoto e compagnia. La metà di queste federazioni non potrebbe sopravvivere senza sostegni. Il rubinetto del denaro che si apre ogni quattro anni ripetendo il rito dei Giochi moderni inventato da De Coubertin nel 1896 è linfa vitale.
E poi… Poi sappiamo quale funzione sociale rivesta oggi lo sport, che fa tanti peccati ma è motore prezioso per tanti giovani per individuare obbiettivi solidi nella loro crescita.
Se togliamo loro il traguardo, la speranza, in molti perderanno la vocazione e tante società sportive, tanti dirigenti che sono educatori sul campo si arrenderanno.
L’Olimpiade è la fiaccola. Meglio se non si spegne.