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Sotto questo rispetto, quando per ragioni organizzative o cliniche non vi sono indicazioni all'intervento fisioterapico o riabilitativo, nella sua accezione più ampia di recupero e conservazione delle abilità psicofisiche dell'individuo malato, il movimento e l'attività fisica possono ricoprire un ruolo ancillare e sostituivo, quando non additivo del programma terapeutico. Più dettagliatamente, il mantenimento della flessibilità articolare e muscolare consente di contrastare gli effetti negativi dell'immobilità, scomponendo i compensi muscolari patologici ed antalgici; l'incremento della forza, a corpo libero o con lievi sovraccarichi, permette di migliorare l'uso di eventuali ortesi ed apparecchiature di sostegno, quando non di limitarne l'utilizzo; una modesta attività fisica aerobica (camminata, jogging, cyclette, trekking, nordic walking, nuoto, ciclismo, pattinaggio, canottaggio, sci di fondo), cioè basata su ripetizioni cicliche di gesti motori, che impegnano in modo ritmico e simmetrico numerosi segmenti motori, coinvolgendo in modo uniforme e regolare l'apparato cardio-respiratorio, garantisce un rinforzo del miocardio, un miglioramento della perfusione cerebrale, un incremento degli scambi respiratori polmonari, una minor resistenza insulinica e vascolare, un implemento delle difese immunitarie, oltre che un'influenza positiva del tono dell'umore.
Qualsiasi esercizio fisico deve essere declinato e modulato sulle condizioni cliniche del soggetto, valutando la terapia farmacologica in atto (chemioterapici con effetti cardio o neurotossici), il livello di immunocompetenza, le pregresse o attuali limitazioni fisiche (amputazioni, fratture...), le eventuali patologie concomitanti (diabete, ipertensione, malattie neurologiche...) ed il contesto sociale e famigliare.
Insomma, lungi dall'attribuirne un valore taumaturgico, quasi una sorta di panacea per ogni affezione, l'attività fisica va promossa, quando non espressamente vietata, ma adattata alle esigenze e risorse della persona, contemperando le istanze cliniche ed evolutive della malattia.
Davide Deangelis