Cartoline dal Passato - Elsa Morante: la storia non muore
LA CARTOLINA
Di: Augusto Frasca
Torna alla ribalta
grazie alla tivù
un capolavoro
della grande scrittrice
Elsa Morante, dal titolo
"LA STORIA"
La didascalia in copertina nella prima edizione del gennaio 1974 era contemporaneamente una penosa riflessione sul passato e una consapevole, sofferta profezia: ‘uno scandalo che dura diecimila anni’. Sul frontespizio, la frase di un sopravvissuto nell’esplosione atomica di Hiroshima del 1945: ‘non c’è parola, in nessun linguaggio umano, capace di consolare le cavie che non sanno il perché della loro morte’. Subito, all’inizio, la cadenza letteraria delle prime righe di un romanzo che per il tema trattato e l’originalità dell’autrice avrebbe sconvolto l’editoria nazionale del tempo: ‘un giorno di gennaio dell’anno 1941, un soldato tedesco di passaggio, godendo di un pomeriggio di libertà, si trovava, solo, a girovagare nel quartiere di San Lorenzo…’. Elsa Morante non era nuova alla narrativa, essendosi imposta all’attenzione della critica letteraria – se non, nelle fasi iniziali, alle leggi del mercato – con le sue prime opere, Menzogna e sortilegio del 1948, vincitrice del Premio Viareggio in abbinata con I fratelli Cuccoli di Aldo Palazzeschi, e soprattutto L’isola di Arturo, pubblicato nel 1957 e segnato dall’affermazione nel Premio Strega, nelle cui pagine emergeva, al tempo tutt’altro che usuale, il tema dell’omosessualità e l’inconciliabilità tra un padre e un figlio.
La Storia, edito dalla Einaudi e tornato potentemente all’attenzione del pubblico in questo inizio di stagione per l’esito positivo di uno sceneggiato televisivo, fece registrare d’un colpo un travolgente successo di vendite, una media ininterrotta di centomila copie al mese, protrattasi per oltre un anno, troppo avvincente la narrazione delle piccole, tragiche storie individuali descritte dinanzi alla grande e tragica storia dell’umanità. Teatro del romanzo, immerso tra fantasia e realtà biografica nelle vicende della seconda guerra mondiale e degli anni successivi, Roma, una città sofferente fotografata in uno dei periodi peggiori della sua storia bimillenaria. Protagonisti, su tutti, testimoni inermi della fragilità umana e di un’innocenza tradita, un’umile donna e un bambino, Ida e Useppe, l’amore di una madre e la precarietà di un piccolo essere indifeso e indifendibile, entrambi vittime incolpevoli di una natura e di una società matrigne in una parabola umana in cui a dominare sono l’emozione e la poesia. ‘… due occhi che dicevano addio’, gli occhi di Useppe, quegli occhi che a distanza d’anni non cessano d’inseguire quanti si sono raccolti nell’intimità di una delle più grandi pagine letterarie del ventesimo secolo.