Il posto... il momento... il modo...
Una notizia che ha fatto rumore, come spesso capita a proposito dei temi di fine della vita su cui periodicamente si accendono i riflettori e per cui si alzano le grida di denuncia...Poi, spesso, tutto ripiomba in un triste silenzio.
Certamente sarebbe stato meglio se ben prima dell’urgenza fosse stato attivato un servizio di cure palliative; se tempestivamente, magari in un precedente ricovero ospedaliero, fosse stato proposto l’Hospice; se durante il decorso della malattia i familiari fossero stati correttamente informati delle prospettive prognostiche e dell’inutilità di trattamenti di “emergenza” nella fase terminale.
Se ... se ... se... Ma di fatto, purtroppo, questo non sempre avviene. Ed i malati continuano ad arrivare “a morire in un Pronto Soccorso”. Niente da fare, quindi? O solo aspettare tempi migliori ed una maturazione della società?
No: anche in un pronto soccorso “si può fare qualcosa”. A volte gesti piccolissimi, a volte un’attenzione ad un particolare, spesso un attento gioco di squadra da parte di operatori formati anche a questi momenti difficili di dolore e sgomento.
Un ricordo... Una giovane donna, arrivata all’ attenzione del DH, molto sofferente e con improbabili attese di nuove linee di chemioterapia che erano stateescluse da un altro Centro oncologico, in una situazione di malattia del tutto compromessa. Un marito spesso via per lavoro. Un figlio dodicenne. Una mamma anziana e disperata, alcune amiche generose e volenterose.
In due giorni avevamo cercato di fare tutto il possibile: controllare il dolore fisico, innanzitutto; poi aiutare tutti a prendere consapevolezza della gravità della situazione e dell’importanza di attivare un programma di assistenza domiciliare, contemporaneamente aprire uno spazio di supporto psicologico per tutti i soggetti del dramma, ciascuno a suo modo fragile. Tutto questo in Day Hospital.
Poi il week end, in cui il DH è chiuso, con la speranza di arrivare al lunedì in cui sarebbe stato attivato il servizio domiciliare. Ma purtroppo uno scompenso ulteriormente rapido e per certi versi imprevedibile, seguito dal comprensibile smarrimento dei familiari sul da farsi, porta al ricovero in Pronto Soccorso.
In un pomeriggio d’inverno, così, uno stanzino del Pronto Soccorso si trasformò quasi in piccolo Hospice temporaneo. Agendo nel modo giusto, il posto diventò meno sbagliato e il momento, ineluttabilmente breve, si trasformò in un tempo indefinibile, ricco di relazioni e prezioso per profondità ed intensità.
Certo, un semplice episodio, ma non unico. E soprattutto, tanti altri episodi meno drammatici, in cui l’attenzione del Medici e degli Infermieri del Pronto Soccorso permettono di risolvere le crisi immediate, ma ancor di più di segnalare la possibilità dell’assistenza domiciliare, o dell’hospice nella fase in cui c’è ancora il tempo di costruire un programma di cura ed assistenza, attraverso il coinvolgimento del Medico di Famiglia e delle Unità di cure palliative.
E quei malati, “presi in carico” e curati, in genere in Pronto Soccorso non torneranno più...