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Il posto... il momento... il modo...

 
di: Ferdinando Garetto - Monica Seminara - Barbara Barolo
 Progetto “OLTRE” 2016 - G.I.T.R. Onlus - Fondazione FARO Onlus 

 
Anche
in Pronto Soccorso,
i piccoli “miracoli”
possono avvenire quando
“scienza e coscienza”
lavorano insieme.
 
Il primo pensiero di fronte alla descrizione drammatica della morte di un malato di cancro dopo 56 ore di ricovero in un Pronto Soccorso romano è senza dubbio che lo sventurato paziente ha trascorso gli ultimi due giorni e mezzo della sua vita nel posto sbagliato (una barella di un sovraccarico Pronto Soccorso), nel momento sbagliato (quello in cui sarebbe più dignitoso essere a casa propria, in un Hospice, o almeno in un vero letto di una stanza d’ospedale), nel modo sbagliato (da quanto si legge nelle dichiarazioni del figlio, praticamente senza assistenza).

Una notizia che ha fatto rumore, come spesso capita a proposito dei temi di fine della vita su cui periodicamente si accendono i riflettori e per cui si alzano le grida di denuncia...Poi, spesso, tutto ripiomba in un triste silenzio.

Certamente sarebbe stato meglio se ben prima dell’urgenza fosse stato attivato un servizio di cure palliative; se tempestivamente, magari in un precedente ricovero ospedaliero, fosse stato proposto l’Hospice; se durante il decorso della malattia i familiari fossero stati correttamente informati delle prospettive prognostiche e dell’inutilità di trattamenti di “emergenza” nella fase terminale.

Se ... se ... se... Ma di fatto, purtroppo, questo non sempre avviene. Ed i malati continuano ad arrivare “a morire in un Pronto Soccorso”. Niente da fare, quindi? O solo aspettare tempi migliori ed una maturazione della società?

No: anche in un pronto soccorso “si può fare qualcosa”. A volte gesti piccolissimi, a volte un’attenzione ad un particolare, spesso un attento gioco di squadra da parte di operatori formati anche a questi momenti difficili di dolore e sgomento.

Un ricordo... Una giovane donna, arrivata all’ attenzione del DH, molto sofferente e con improbabili attese di nuove linee di chemioterapia che erano stateescluse da un altro Centro oncologico, in una situazione di malattia del tutto compromessa. Un marito spesso via per lavoro. Un figlio dodicenne. Una mamma anziana e disperata, alcune amiche generose e volenterose.

In due giorni avevamo cercato di fare tutto il possibile: controllare il dolore fisico, innanzitutto; poi aiutare tutti a prendere consapevolezza della gravità della situazione e dell’importanza di attivare un programma di assistenza domiciliare, contemporaneamente aprire uno spazio di supporto psicologico per tutti i soggetti del dramma, ciascuno a suo modo fragile. Tutto questo in Day Hospital.

Poi il week end, in cui il DH è chiuso, con la speranza di arrivare al lunedì in cui sarebbe stato attivato il servizio domiciliare. Ma purtroppo uno scompenso ulteriormente rapido e per certi versi imprevedibile, seguito dal comprensibile smarrimento dei familiari sul da farsi, porta al ricovero in Pronto Soccorso.

E qui, in Pronto Soccorso, il piccolo “miracolo” che sempre avviene quando “scienza e coscienza” lavorano insieme.
Operatori cresciuti nella lunga tradizione di collaborazione fra Oncologia e Pronto Soccorso del Gradenigo, e formati negli incontri del progetto di formazione “Oltre” (che diffonde da diversi anni, grazie alla collaborazione G.I.T.R. - FARO, la cultura delle cure palliative anche al di fuori della divisione di Oncologia), si attivano e cercano di fare il possibile e l’impossibile... Innanzitutto la rivalutazione competente della terapia del dolore, poi la creazione di uno luogo di intimità anche negli spazi angusti (con un paravento, ma ben venga se in questo modo ai familiari viene consentita la presenza costante accanto al congiunto, secondo l’idea della “rianimazione aperta” di cui si parla nei modelli più innovativi di Terapia Intensiva), la possibilità di una tempestiva consulenza da parte dell’oncologo di turno, i contatti telefonici ripetuti con il palliativista, l’accoglienza dei familiari più fragili e turbati fino alla condivisione con il marito della opportunità e necessità di una sedazione più profonda per il controllo di ogni sofferenza negli ultimi istanti di vita. La vicinanza al figlio nell’ultimo saluto... Il supporto alla mamma... Il coinvolgimento delle amiche...

In un pomeriggio d’inverno, così, uno stanzino del Pronto Soccorso si trasformò quasi in piccolo Hospice temporaneo. Agendo nel modo giusto, il posto diventò meno sbagliato e il momento, ineluttabilmente breve, si trasformò in un tempo indefinibile, ricco di relazioni e prezioso per profondità ed intensità.

Certo, un semplice episodio, ma non unico. E soprattutto, tanti altri episodi meno drammatici, in cui l’attenzione del Medici e degli Infermieri del Pronto Soccorso permettono di risolvere le crisi immediate, ma ancor di più di segnalare la possibilità dell’assistenza domiciliare, o dell’hospice nella fase in cui c’è ancora il tempo di costruire un programma di cura ed assistenza, attraverso il coinvolgimento del Medico di Famiglia e delle Unità di cure palliative.

E quei malati, “presi in carico” e curati, in genere in Pronto Soccorso non torneranno più...

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