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Historia se repetit - La peste "nera"

Fiochetto, protomedico, cioè medico capo della città, prese subito in mano la situazione sanitaria di Torino con il sindaco Bellezia.Sindaco Bellezia
Infatti il duca Vittorio Amedeo I e la corte, inaugurando una nobile tradizione di famiglia che si concluderà con la fuga a Brindisi di un suo lontano pronipote, riparò dapprima a Pino e poi a Cherasco.
Ma lo Stato deve salvarsi come insegna anche la Regina Elisabetta II da Windsor.
Torino era in mano di pochi valorosi. Il morbo esplose nei quartieri poveri di una città di 25.000 abitanti. Resteranno alla fine in 14.000. Altre fonti sono ancora più tragiche: 11.000 abitanti nella cinta muraria, ne sopravvissero 3.000.
Fiochetto con sensibilità tutta medica descrisse accuratamente che cosa succedeva in quei poveri corpi: “bubone sulle inguinaglia e alle ascelle o dietro le orecchia”, “carbone cioè vescicole rosse e poi nere“ su tutto il corpo (da cui il nome peste nera), “papole o tacchi”, “petecchie e senespioni neri”.
Il malato ha “freddezza delle parti esterne e gran calore delle parti interne", “respirazione ansiosa“ (tachipnea), “polso languido e celere“, “sudori con mancamenti”.
Due medici pesteRara è la febbre, fatto che appare strano anche a noi visto lo stato settico in atto, ma Fiochetto non diede particolare importanza a questo fatto: “che si becchino il cervello i cattedratici della Scola in cercar tanta sottilità, sendo più giovevoli un’onza di giuditio e due di pratica che cento libri di scienza”. Sembra che già allora lo scontro tra il Mondo Accademico e il Medico pratico fosse aperto, anche se Fiochetto stesso era professore all’ateneo torinese. L’andamento del morbo non era univoco. Già ce lo disse Boccaccio quando nell’introduzione del Decamerone ci dice “E non come in Oriente aveva fatto, dove a chiunque usciva sangue del naso era manifesto segno d’inevitabile morte: ma nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi ed alle femine parimente o nell’anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela ed altre come uno uovo, ed alcuna piú ed alcuna meno, le quali li volgari nominavan «gavoccioli»”.
Il grande insegnamento del nostro Fiochetto fu invece che il medico “pur vedendo nel malato segni totalmente sinistri deve preferire una dubbiosa speranza alla certa disperazione e continuare nelle cure”.
È un insegnamento che vale ancora per noi medici di oggi: nelle malattie, soprattutto acute, non dare mai per persa la battaglia e continuare a cercare il rimedio.
Peste TorinoLe cure di fronte all’ignoto fioriscono a decine: alcune da basi scientifiche da validare, ma molte dalla superstizione e dalla presunzione. Così va il mondo, anzi così andava nel 1630.
Come disinfezione degli ambienti Giovanni Francesco consigliava di “aspergere le stanze con acqua di rose, essenza di viola o di menta”. Per la protezione personale annusare palle odorose di sandalo, di zafferano o di cedro. Un effetto taumaturgico avevano i bezoari di animale, perle, zaffiri, rubini e corallo da indossare.
La confusione soprattutto nei primi tempi, regnò sovrana e ogni parere fu ritenuto valido.
Ma il nostro è anche uomo di scienza e ci ammonisce di “lasciare le assemblee (assembramenti ndr), come comedia, processioni ed altri concorsi di popolo“, “di tenere netti i corpi lavando spesso mani e faccia”, di “mutar spesso gli abiti” di “evitare stravizi alimentari, travagli amorosi, conflitti e litigationi”.
Sono suggerimenti molto attuali e soprattutto gli ultimi sembrano rivolti al nostro litigioso mondo politico. 
Il morbo attanagliò Torino per due anni (1630 - 1632), ma la fase di “morbo furioso“ si concentrò nei primi 6-8 mesi del 1630. Il periodo peggiore si caratterizzò per un numero infinito di decessi “che era impossibile portarne ogni giorno la metà ai carnai (fosse comuni) fuori muraglia dove anco se ne lasciavano la maggior parte insepolti”
Chi potrà mai dimenticare i camion militari di Bergamo carichi di feretri portati per la cremazione in altre città per l’impossibilità di affrontare in loco il problema?
Camion VittimeAlla tragedia sanitaria e sociale, al sacrificio di molti medici e religiosi (Historia se repetit: nel 2020 al momento di questo articolo oltre 150 medici e oltre 100 sacerdoti deceduti) si contrapponevano storie di normale bassezza umana.
Tal dottor Maletto pur “ben stipendiato dalla Città” “lasciava patire i poverelli per venire nella Città al guadagno di chi più gliene dava”. Fu dapprima ammonito e poi radiato dal sindaco Bellezia e consegnato alla giustizia.
Nell’anarchia e nella penuria di vettovaglie avvenne che “gli uni morivano di peste, altri di peste e fame, altri di peste, fame e violentia”. Anche oggi, soprattutto in Nazioni più povere o meno evolute il problema dell’approvvigionamento di viveri è essenziale. Anche nelle società più evolute la lunga sospensione delle attività produttive può causare disordini, illegalità e violenza. Su queste problematiche Bellezia non scherzava: i criminali venivano giudicati sommariamente e condannati invariabilmente a morte. Le sentenze si eseguivano in Piazza Castello o in via Corte d’Appello. Il Rondò della forca sarà destinato a tale triste finalità due secoli dopo. Per accogliere i malati si creò dapprima un lazzaretto alle Maddalene, intitolato a San Lazzaro. Ma ben presto i quattrocento (sic) capannoni furono insufficienti e si dovettero creare altri lazzaretti a Porta Nuova e fuori dalle mura.
 

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