Assistenza ospedaliera e territoriale in oncologia dopo il COVID-19
IL PROBLEMA
L’epidemia ha accelerato
il continuo incremento
del numero di cittadini
che hanno avuto o hanno
una patologia oncologica,
con un aumento
della pressione
su strutture, personale
e sui costi sanitari
Di: Alessandro Comandone
SC oncologia, Ospedale San Giovanni Bosco, ASL Città di Torino
Fonte: E&P 2022, 46 (4) luglio-agosto, p. 230-232
L’epidemia di COVID-19 ha accelerato un fenomeno già in corso negli ultimi 20 anni nella sanità dei Paesi a più alto sviluppo economico e sociale: il continuo incremento del numero di cittadini che hanno avuto (o hanno) una patologia oncologica e che di conseguenza si devono sottoporre a cure e controlli per lungo tempo, determinando una pressione sempre più forte sulle strutture, sul personale e sui costi sanitari.
Le dimensioni del problema, troppo spesso dimenticate, sono realmente impressionanti: nel volume “I numeri del cancro”1 si stima che nel 2021 in Italia vi siano state 377.000 nuove diagnosi di tumore (più di 1.000 casi al giorno, circa 195.000 uomini e 182.000 donne) e i decessi siano stati 181.330 (100.200 uomini e 81.100 donne).
I dati di prevalenza sono ancora più importanti: oggi in Italia abbiamo circa 3.600.000 persone che hanno avuto nella loro vita l’esperienza di una neoplasia, con un aumento del 37% rispetto al 2010.
Ma questa popolazione è molto eterogenea: ai completamente guariti (27%), si associano le persone in trattamento adiuvante o in follow-up, che avranno ottime probabilità di guarire, o in cura per malattia in fase avanzata o in cure palliative, per i quali possiamo sperare solo in un prolungamento della sopravvivenza o nel controllo dei sintomi.2,3
Per contro, gli specialisti oncologi sono circa 2.200 e il rapporto medico/pazienti con malattia conclamata o in follow-up si avvicina ormai a un insostenibile rapporto di 1/1.600.
Valorizzare il territorio
La specialità in oncologia è nata dalla medicina interna con una connotazione ospedaliera e per molti aspetti mantiene tale caratteristica. Pochissimi sono i casi di oncologi non ospedalieri che agiscono esclusivamente in ambulatori periferici.
Ma, di fronte a una malattia che sta diventando sempre più cronica, con lunghi tempi di cura e di controlli, la necessità del coinvolgimento del territorio è indispensabile. E per territorio non si intendono i piccoli ospedali delle valli che possono essere riabilitati per praticare qualche terapia o per svolgere compiti eminentemente burocratici, ma si intende coinvolgere una vasta platea di medici, infermieri e psicologi che sappiano trattare i pazienti oncologici in modo globale.
Quali azioni restano specifiche per gli ospedali e quali possono essere demandate al territorio?
Nella più recente visione organizzativa, resta sicuramente ospedaliera la fase chirurgica di cura dei tumori, dove anzi si auspica sempre di più la concreta realizzazione di Centri di riferimento per migliorare i risultati e gli esiti.
È ospedaliera, perché vincolata agli apparecchi, la radioterapia. È ospedaliera la terapia medica attiva, soprattutto endovenosa, e lo sono le terapie sperimentali. Deve essere ospedaliera la preparazione centralizzata dei farmaci, che ha cancellato le preparazioni frazionate, non sicure e molto costose. Restano ospedaliere la gestione e la cura di tossicità gravi indotte dalle terapie.
Al contrario, debbono spostarsi sul territorio la prevenzione primaria intesa come educazione sanitaria sugli stili di vita, lo screening che deve essere calato nella popolazione generale per essere compreso e aumentarne la partecipazione, il trattamento integrato tra specialisti in caso di polipatologie (cardiologi, diabetologi, neurologi), il follow-up dopo il 5° anno, l’assistenza domiciliare, il trattamento di tossicità non gravi.
Resta terreno di piena integrazione tra ospedale e territorio il counselling genetico in quanto il colloquio tra genetista e paziente può avvenire in periferia, ma i test genetici vanno centralizzati. La riabilitazione, infine, può iniziare in ospedale per poi passare rapidamente sul territorio.
Gli strumenti della telemedicina devono essere implementati per favorire prenotazioni e consulti a distanza, come già è avvenuto durante la pandemia di COVID-19.4,5