A Torino un Centro per il coordinamento delle cure palliative
IL SUPPORTO
Nel capoluogo piemontese
è sempre più alta l’attenzione
per la cura e l’assistenza
dei malati cronici,
dedicando loro
una sede e il supporto
di vari specialisti.
Di: Ernesto Bodini
Parlare di malati che hanno bisogno maggiormente di ulteriori terapie di sostegno nella fase finale della malattia, non solo è un dovere, ma richiede quel “passo in più” che va oltre la sensibilità non solo degli operatori, ma anche della politica-gestionale, ragioni che hanno dato vita a Torino alla Centrale di Coordinamento delle Cure Palliative dell’Asl locale, con Sede in via Chambery, 91/6.
Si tratta di un immobile confiscato alla criminalità organizzata e restituito alla comunità. Una iniziativa che rientra nel Progetto di un Centro Direzionale per le Cure Palliative, ad integrazione della Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta. Sono cure che si offrono a malati con patologie croniche come ad esempio il cancro e le neurodegenerative. Superate le cure attive, questi pazienti vengono aiutati e accompagnati nella fase finale della malattia… e della loro esistenza; una utilissima continuità a quella già in corso da tempo degli hospice e dell’assistenza domiciliare. Un lavoro in rete che si avvale della collaborazione tra medici di famiglia, medici e infermieri dediti alle cure palliative e oncologi ospedalieri, garantendo il massimo dell’assistenza (anche psicologica) nella fase di fine vita, nel modo più dignitoso possibile e in presenza dei propri famigliari e di volti amici.
«Le cure palliative, che hanno la finalità dell’umanizzazione del percorso di cura all’ultimo giorno di vita – precisa il dottor Alessandro Comandone, oncologo-farmacologo e coordinatore dell’Oncologia piemontese –, si prefiggono di riportare in un contesto familiare i grandi temi della sofferenza e della morte, garantendo al malato e ai congiunti un supporto costante, discreto e sapiente». In questa ottica sembra essere un evento triste, e forse tale è, in quanto se si fosse in grado di controllare in modo definitivo la malattia cancro come pure la malattia neurodegenerativa, non ci sarebbe la necessità delle cure palliative.
«Ed è con l’impegno di tutti che si può dare questa estesa assistenza – sottolinea il clinico – , inclusi i caregiver, il cui termine (ormai noto a tutti) ha una traduzione molto articolata nel nostro lessico italiano, che sta ad indicare il familiare portatore di cure al paziente affetto da una malattia inguaribile. Queste persone, il cui sacrificio può durare anni accanto al malato, sono spesso poco conosciute, ma in realtà il loro operato è molto prezioso, in considerazione del fatto che anche loro stesse sono assai fragili…».
Da uno studio dell’ESMO (European Society for Medical Oncology) si rileva che un caregiver che offre la propria assistenza al familiare malato, può ammalarsi egli stesso per gli sforzi fisici, mentali e spirituali che deve sostenere e, solitamente, conclude la propria opera che non teme di definire “eroica” (termine appropriato in quanto implica rinunce e sacrifici), oltre alla triste elaborazione del lutto.
«Solo con la costante vicinanza di un familiare a cui si insegna a diventare di volta in volta infermiere, psicologo e assistente spirituale – conclude Comandone –, viene permesso al malato di poter trovare momenti di sicurezza e di serenità anche nel duro periodo intriso di interrogativi del fine vita».