Sono solo...tartarughe!!! Forse...
IL DUBBIO
Per alcuni anni
abbiamo tenuto in casa
delle tartarughine d’acqua.
Erano piccole,
vivaci e interagenti,
sebbene fossero dei rettili.
Di: Davide Deangelis
Specificare che fossero acquatiche sarebbe inutile se fossimo dei biologi, perché quei simpatici animali con il carapace si definiscono tartarughe, se sono acquatiche, testuggini se sono terrestri.
Come ogni “buon” genitore, che non ha la fortuna di vivere con la propria famiglia in una casetta con il giardino, volendo accontentare gli slanci animalisti dei propri figli, dovetti giungere a un compromesso igienicamente e gestionalmente accettabile. Le tartarughe d’acqua sembravano la scelta giusta. Erano piccole, vivaci e interagenti, sebbene fossero dei rettili. In realtà, come la maggior parte delle volte accade, l’entusiasmo e l’interesse della prole verso di loro si spensero relativamente presto e così in breve tempo diventai il responsabile della loro cura: le nutrivo, pulivo il loro acquario, che grazie alla generosità di un amico, era decisamente più grande di quello solitamente loro destinato, e decoravo il loro ambiente, cercando di ricreare un habitat quanto più confortevole. L’intento iniziale era quello di educare i figli alla cura di qualcun altro che non fossero loro stessi. Purtroppo però, come prevedibile, data la loro giovane età, fu puntualmente disatteso. Facevo presto a raccontargli i passi topici della Genesi in cui l’assegnazione del nome agli esseri viventi li individuava e li identificava, li rendeva cioè unici, irripetibili, diversi l’uno dall’altro, perché singolari. A nulla servivano i riferimenti all’addomesticazione della volpe di quell’immenso libro per bambini, ma letto e citato dagli adulti che è il Il Piccolo Principe. Prendersi cura è un gesto di maturità, di adultità, di umanità, nel senso evolutivo del termine: esseri superiori accudiscono quelli inferiori: per diletto, piacere, affetto e gratuità. Anche altri animali convivono con altre specie, solo l’uomo però lo fa per il desiderio di compagnia e non per un simbiotico vantaggio di sopravvivenza, correlato a cure igieniche o alimentari, come gli uccelli spazzini che ripuliscono i denti dell’ippopotamo o del coccodrillo, o le remore che si ancorano alla pelle dello squalo, sfruttandone il trasporto o parassitando i residui postprandiali.
Mi perdevo spesso in queste considerazioni esistenziali guardando i movimenti lenti e curiosi delle ormai “mie” tartarughe. E sì, perché che cosa ci fa legittimare una proprietà se non la cura che si dimostra verso un qualche bene? Se abbiamo così tante proprietà terriere o immobiliari che ce ne dimentichiamo, non è forse giusto che tali beni siano usucapibili da altri che potrebbero volgere loro maggiori attenzioni? Ovviamente senza dolo, ovvero senza aver raggirato il proprietario? Non ero divenuto dunque io il depositario di bisogni delle piccole creature, dato che mi premuravo di nutrirle, pulirle e ricercare per loro il confort più adeguato? Dei loro comportamenti essenziali (alimentarsi, corteggiarsi e riposare) assunsi inconsapevolmente il ruolo di giudice e censore. Non tolleravo le angherie che la tartaruga cresciuta maggiormente destinava a quella più piccola, che col tempo appresi essere il maschio. Cercavo dunque di far osservare una primitiva giustizia distributiva, fornendo in luoghi e tempi diversi il cibo, in modo che entrambe potessero sfamarsi senza favorire occasioni di prevaricazioni, o intervenendo per sedare delle liti occorse nella lotta per la spartizione di beni, evidentemente da loro supposti finiti.
Mi venivano in mente molte riflessioni etiche ogni volta che ciò accadeva, soprattutto la famosa frase di Popper, secondo il quale la civiltà non è null’altro che la lotta alla violenza, affrontata in un modo non violento, chioserei. E mentre speculavo su tali argomenti di etica animale, ecologista, comportamentista -in effetti ammetto di aver tentato alcuni esperimenti che ricordavano quelli celebri di Pavlov sui riflessi condizionati!- e su quanto i nostri costrutti mentali e psicologici determinino la nostra visione del mondo e quale concetto di giustizia abbiamo interiorizzato nel corso delle nostre esperienze esistenziali, mi chiedevo quale stratagemma filogenetico avessero elaborato le tartarughe per giungere fino ai nostri giorni, dato che i fossili ci dicono che esse esistevano già al tempo dei dinosauri. Sicuramente le testuggini sono particolarmente longeve perché hanno un battito cardiaco decisamente basso e la bradicardia primitiva determina un minor consumo di ossigeno, come l’ipotermia rallenta il metabolismo e affatica meno il cuore. È la cosiddetta “sindrome del cardellino” o del colibrì: se il cuore batte costantemente a 120-140 battiti al minuto è come se corresse sempre, compromettendo la durata del muscolo cardiaco.