Analizziamo un problema che complica la vita dei malati oncologici <Fatigue>, se l’energia ci abbandona.
È il termine che in medicina indica quel senso di spossatezza che coglie i pazienti. Non è assimilabile alla stanchezza di un soggetto sano dopo attività fisiche intense. Nasce dalla neoplasia e dai trattamenti per combatterla. Indispensabile una strategia terapeutica di ampia portata
Di: Davide Deangelis
DH Oncologia Medica
Humanitas Gradenigo - Torino
Uno dei sintomi più frequentemente riferiti dai pazienti affetti da tumore è sicuramente la stanchezza e tale termine, di uso assai comune, riconduce ad una radice latina da cui deriva il lemma “stagno”, cioè “acqua ferma”. In effetti, le descrizioni dei disturbi date dai pazienti durante i colloqui con i medici o gli infermieri, sfumano dalla spossatezza (etimologicamente, privazione di potere), allo sfinimento (aver raggiunto la fine, il limite), all'esaurimento (svuotarsi attingendo), alla consunzione (terminare). Tali definizioni dovrebbero essere più che sufficienti per rendere l'idea della sofferenza psicofisica che possono provare i malati oncologici.
Per senso di completezza, occorre precisare che in ambito medico-scientifico questo quadro morboso prende il nome di “fatigue” o, più dettagliatamente, di “astenia cancro correlata”. Quest'ultima espressione consente di chiarire meglio alcuni aspetti: innanzitutto, che la spiacevole sensazione vissuta dai pazienti, non è assimilabile alla fatica provata da un soggetto sano, in seguito ad attività o sforzo fisico intensi, perché non è sufficiente il riposo per recuperare la condizione di benessere e, in secondo luogo, che tale sintomatologia è contestuale alla patologia neoplastica, ossia può aumentare nella fase avanzata della malattia, così come persistere a distanza di anni, pur in caso di scomparsa della malattia originaria (disease free), e riguardare indistintamente il genere femminile e maschile.
In modo più rigoroso, il National Comprehensive Cancer Network (NCCN, l'associazione che sovraintende 26 dei più importanti centri oncologici americani) ha esplicitato le due principali concause della fatigue: il tumore stesso e i trattamenti relativi. In altre parole, oltre alla patologia di base, concorrono a deteriorare il quadro clinico anche le impegnative terapie adottate (chemio e radioterapia, soprattutto se associate). Comprensibilmente, la situazione clinica iniziale (performance status), ossia lo stato funzionale e fisico, le condizioni sociali e psicologiche, rappresentate dalla malattie preesistenti e concomitanti, possono predeterminare l'esito e l'evoluzione della sintomatologia in questione.
Da una lettura più attenta di questo quadro sindromico complesso emergono delle similitudini concettuali e cliniche con un altro spettro che incombe sui malati oncologici: il dolore cronico. Entrambi interferiscono e impattano sulla qualità della vita dei pazienti, deprimendola; la fatigue, come il dolore totale, usando una terminologia cara a Cecily Saunders (l'ideatrice delle cure palliative) sono caratterizzate da multidimensionalità e multicausalità, ma soprattutto, essendo sensazioni che affliggono soggettivamente rischiano di essere sottostimate e pertanto affrontate in modo insufficiente, se non improprio. Di qui la necessità di un approccio valutativo che miri ad una obiettivazione dei sintomi soggettivi, tramite l'utilizzo di scale che permettano di unificare ed omogenizzare quanto viene provato e riportato dal paziente e quanto viene colto e segnalato dall'operatore sanitario.
Una simile complessità clinica richiede dunque una strategia terapeutica eterogenea ed olistica, coinvolgendo più figure sanitarie, quali il medico oncologo, il dietista, il fisioterapista, lo psicologo ed altri specialisti, perché la semeiotica di tale patologia è alquanto subdola e confusiva: dall'anemia, alle infezioni, ai disturbi del sonno, all'ipo-anoressia, alla sindrome ansioso-depressiva. Come si può notare, a parte il deficit di emoglobina e ferro (anemia), sono tutti sintomi aspecifici e comuni ad altre malattie, in particolare ad una forma di sindrome, nota nell'ambito della medicina dello sport, denominata overtraining (sindrome da sovrallenamento), nella quale l'atleta, in particolare di resistenza o endurance, incorrendo nella deplezione di eritrociti ed emoglobina, percepisce un senso di prostrazione profonda, con calo dell'appetito e della libido, alterazioni del sonno, depressione dell'umore ed infezioni ricorrenti da leucocitopenia.
Per un sarcastico paradosso agonismo ed agonia sembrano conglomerarsi, non solo nella sintomatologia, ma anche nelle cause, perché una delle ipotesi più accreditate della eziologia della fatigue sembra risiedere nella diminuzione della massa muscolare, indotta dall'azione proteinolitica del tumore stesso, che non permette più di svolgere le normali attività quotidiane, trasformandole in un peso insostenibile, un macigno impossibile da sorreggere. Quella pietra colossale, di cui narra la mitologia greca, spinta strenuamente dal mortale Sisifo fino alla sommità di un monte e che inesorabilmente rotola al punto di partenza, da cui egli, per punizione di Ade, dovrà ripetere il suo supplizio. Una fatica priva di senso, senza un premio, una gratificazione finale, una purificazione, una liberazione, una catarsi: una sofferenza assurda, citando un termine che Camus adoperò proprio come precisazione ad un saggio intitolato Sisifo, appunto. Assurdo perché dal dolore e dall'astenia i pazienti dovrebbero essere leniti, affinchè un male non amplifichi l'altro, compromettendo ancora più severamente prognosi, cura e soprattutto qualità della vita.
Insomma, operatori della salute e pazienti sono stanchi della fatigue!