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La cardiotossicità dei farmaci chemioterapici in oncologia

Cuore

 
 
L'INFORMAZIONE
 
Questo Articolo 
numero 3) 
riguarda la classe di farmaci
più antica e che più caratterizza
le terapie oncologiche:
la chemioterapia.
 
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Di: Alessandro Comandone - Tiziana Comandone
 
Il terzo capitolo sulla cardiotossicità dei farmaci antitumorali riguarda la classe di farmaci più antica e che più caratterizza le terapie oncologiche: la chemioterapia.
Il termine chemioterapia non è recente: venne coniato dal Paul Ehrich, illustre medico tedesco insignito del Premio Nobel nel 1909 che inventò il termine chemioterapia, comprendendo sotto tale nome qualsiasi farmaco sintetizzato chimicamente atto a controllare sia la crescita tumorale che di microorganismi, siano essi batteri, virus o protozoi.
Oggi i sulfamidici per le infezioni batteriche, la clorochina per la malaria, tutti i farmaci antivirali appartengono alla classe dei chemioterapici.
Sicuramente però l’Oncologia con più di 40 molecole di farmaci chemioterapici a disposizione fa la parte del leone.
I farmaci chemioterapici possono essere totalmente sintetizzati per via chimica, oppure estratti dal mondo vegetale e poi riprodotti in laboratorio per via di processi chimici. In questo caso parliamo di molecole semisintetiche come il Taxolo o la Vincristina.
I chemioterapici, a differenza dei farmaci a bersaglio molecolare e immunoterapici dei quali abbiamo scritto nelle edizioni precedenti si distinguono nella loro attività antitumorale non perché abbiano un bersaglio cellulare preciso da colpire, ma perché inibiscono in termine generale tutte le cellule in replicazione impedendone la duplicazione. È dunque un’attività aspecifica che si basa sulla scoperta realizzata nel secolo scorso che le cellule tumorali,Chemioterapici 1proprio per la loro aggressività e velocità di crescita hanno un indice replicativo generalmente più elevato dei tessuti normali.
Questo assunto purtroppo non è sempre vero: alcuni tumori si replicano molto lentamente, ad esempio le leucemie croniche o i tumori scirrosi o i carcinomi molto ormonodipendenti della mammella, mentre alcuni tessuti normali hanno una cinetica replicativa molto vivace come ad esempio le cellule del midollo osseo, il capillizio, le cellule di rivestimento intestinali.
Ecco per quale motivo la chemioterapia causa inevitabilmente dei danni ai tessuti sani con anemia, neutropenia (calo dei globuli bianchi), alopecia, diarrea.
Il cuore non avendo cellule in rapida replicazione è parzialmente protetto dalla tossicità da chemioterapici, ma purtroppo vi sono classi di chemioterapici che con azioni differenti soprattutto di tipo ossidativo, causano gravi danni cardiaci.
 
Le Antracicline
Le antracicline sono una classe di farmaci chemioterapici tra i più implicati nella tossicità cardiaca.
Appartengono a questa classe l’Adriamicina, grande prodotto della ricerca Italiana, l’epirubicina, la idarubicina, la doxorubicina liposomiale.
Le antracicline sono farmaci fondamentali nel trattamento dei tumori della mammella, dei linfomi, dei sarcomi e dei tumori pediatrici.
La tossicità cardiaca da antracicline può essere acuta o cronica.
La forma acuta si verifica rapidamente dopo la somministrazione del farmaco, non è dose correlata e può causare miocardite, aritmie o più raramente pericardite. 
 
La tossicità acuta è reversibile, ma impedisce in generale la riproposizione del farmaco per evitare tossicità cumulative più gravi. Non vi sono fattori predittivi che permettano di comprendere con sicurezza quali siano i Pazienti più predisposti alla tossicità acuta.
Cuore 1Certamente pazienti con cardiopatie pregresse o in atto, con alterazioni elettriche della conduzione cardiaca, ipertesi gravi, tabagisti, grandi obesi sono maggiormente predisposti alla tossicità acuta.
La tossicità cronica invece è dose correlata.
La dose cumulativa limite per l’Adriamicina è 500 mg/mq, per l’Epirubicina 900 mg/mq. Meno definita è la dose per la Doxorubicina liposomiale.
Oltrepassando le dosi indicate il rischio di manifestare una cardiopatia congestizia aumenta in modo importante passando da 4% a oltre il 20%.  Con dosi di adriamicina > 600 mg/mq giunge al 40%.
Le anomalie cardiologiche che si registrano vanno da disturbi del ritmo, a crisi ipertensive, a ispessimenti del pericardio, alla miocardiopatia.
Dal punto di vista istologico si identificano aree di fibrosi interstiziale che si sostituiscono ai miocardiociti. La struttura delle cellule cardiache appare alterata con il citoscheletro sostituito in parte da tessuto fibroso. In situazioni di maggiore gravità il miocardiocita va incontro a vacuolizzazione e a necrosi.
Considerando che i miocardiociti sono cellule a lentissima replicazione (< 1% di frazione replicativa) è evidente che la cardiotossicità delle antracicline non sia causata da un’azione antireplicativa diretta, ma attraverso i fenomeni di ossidazione e di sostituzione del tessuto contrattile con tessuto fibroso anelastico.
Il processo è ben descritto: azione iperossidante del chemioterapico sulle cellule e sui mitocondri→formazione di vacuoli e morte cellulare→sostituzione delle parti necrotiche con tessuto fibroso → riduzione della capacità contrattile ed elastica del muscolo cardiaco→insufficienza del miocardio→sostituzione delle vie di conduzione elettrica con tessuto fibroso→turbe del ritmo.
La reale incidenza del fenomeno di cardiotossicità da Antracicline è sconosciuta, sia perché come detto, distinguiamo in forme acute e croniche, sia perché le forme tardive possono verificarsi a distanza di anni dalla fine della chemioterapia. Al riguardo estremamente significativo è il rilievo che tra i bambini guariti di leucemia acuta negli anni 1990 e diventati adulti si sono manifestate cardiopatie di varia gravità nel 30% dei casi a distanza anche diFlacone due decenni.
Molti sono stati i tentativi di trovare degli antidoti o dei sistemi preventivi per ridurre il rischio di cardiotossicità da antracicline:
Riduzione della velocità di infusione del farmaco preferendo l’infusione lenta tramite fleboclisi anziché endovena rapida, aumentata diluizione della soluzione iniettata, riduzione del numero dei cicli da 6 a 4 soprattutto in fase adiuvante per ridurre il numero delle esposizioni, esclusione di farmaci cardiotossici concomitanti, impiego di antidoti parziali all’azione iperossidante delle antracicline   come ad esempio il Dexrazoxane.
Una sorveglianza attiva del Paziente nel tempo di follow up con esami e visite cardiologiche ripetute è riconosciuto come mezzo di prevenzione efficace.
I sintomi della cardiopatia cronica da antracicline sono comuni alla cardiopatia dilatativa: dispnea, astenia, tachicardia, evoluzione verso lo scompenso cardiaco.
L’aumento del numero delle molecole antitumorali a disposizione ha ridotto significativamente l’impiego delle antracicline, ma la loro efficacia e importanza nella cura del cancro è tale che ancora oggi circa il 20% dei Pazienti viene trattato con tali farmaci e, dunque, l’attento monitoraggio cardiologico è indispensabile.
 

 

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