Dall'Ottobre del 2022 GITR è diventato
O.D.V. - Organizzazione di Volontariato
l'acronimo O.D.V. sostituisce pertanto
la sigla O.N.L.U.S. precedente
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FINALMENTE IL
... N°. 3 - 2024 ...
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SULLA CAMPAGNA PER LA PREVENZIONE DEI TUMORI
DAL MINISTERO DELLA SALUTE
Fatti più in là, giovanotto...
IL QUADRETTO
Di: Gianni Romeo
...mi hai rubato almeno 40 centimetri>.
<Lei si sbaglia signore,
ho misurato,
cinque passi dei miei
fanno 5 metri abbondanti,
le mie gambe sono due pertiche,
dia un’occhiata,
per questo mi hanno preso
in una squadra di basket>.
<Sarà come dice lei, ma in ogni caso un giovane che s’impegna nello sport farebbe meglio a non fumare…>. Questo dialogo immaginario potrebbe diventare un giorno realtà.
A Torino, nell’aprile scorso, sui giornali è apparsa la notizia bomba: vietato fumare anche all’aperto, a meno di rispettare le distanze di legge. Notizia bomba per modo di dire, perché in molte parti del mondo già esistono divieti molto severi per frenare l’uso della sigaretta.
Senza andare troppo lontano, a Milano fin dal 2021 una norma recita che occorre una distanza di 10 metri dal vicino-lontano per aspirare una boccata. Di veleno? Su questo punto, sui danni del fumo, studi, ricerche, statistiche d’ogni genere provano che non esistono dubbi.
Mi conferma uno pneumologo: se tutti smettessero di fumare almeno metà del nostro gruppo dovrebbe cercarsi un’altra specializzazione.
Però ci sono i problemi pratici. Come misurare la distanza? Chi se ne incaricherà? Sorgeranno contestazioni?
E l’aria, va considerata anche quella? Se tira dalla parte giusta posso stare a pochi metri dal fumatore, altrimenti anche a 50 mi arriverà addosso la zaffata (o il profumo, fate voi) di un buon sigaro Havana.
Cure palliative in tempi di guerra
LA REALTÀ
Dove c’è dolore globale,
fisico, psicologico,
sociale e spirituale,
lì devono esserci servizi
di cure palliative,
diritto universale.
Dove c’è dolore globale (fisico, psicologico, sociale e spirituale), lì devono esserci servizi di cure palliative, diritto universale. «La guerra, se filtrata attraverso il mezzo della stampa o dello schermo, è nebulosa, astratta, ultraterrena, ma da vicino è incontrovertibilmente viscerale. È la bambina con le scarpe rosse che trema mentre cerca la mano di sua madre nel rifugio. È il neurochirurgo che non riesce ad aiutare i suoi pazienti in sala operatoria perché, ancora una volta, è saltata la corrente. [...]. Gli ospedali sono pieni, i servizi di emergenza sono sotto pressione e i pazienti sopportano, o muoiono, in condizioni inenarrabili nei corridoi, nelle ambulanze bloccate sui piazzali degli ospedali, o a casa prima ancora che i soccorsi possano raggiungerli» [traduzione mia].
Con queste parole la dottoressa Rachel Clarke – vivace osservatrice del valore sociale delle cure palliative – esprime lo sgomento di fronte all’orrore di tutte le guerre, partendo da un WhatsApp ricevuto da un collega di Kiev. In un appello, la ICPCN (International Children’s Palliative Care Network) afferma il bisogno di cure palliative come diritto universale senza bandiere anche nei luoghi di guerra: «Abbiamo ascoltato storie di coraggio e di sforzi umanitari, come quella di 150 bambini ucraini malati di cancro e delle loro famiglie che hanno raggiunto la Polonia e altre destinazioni per continuare le cure [...].
Sappiamo che i professionisti delle cure palliative hanno sostituito il camice bianco con la tuta dell'esercito per combattere per i loro Paesi e che altri fanno del loro meglio per assistere adulti e bambini bisognosi di cure palliative in circostanze così difficili e stressanti. I nostri amici e colleghi in Ucraina hanno lavorato duramente nel corso degli anni per sviluppare servizi di cure palliative per adulti e bambini (...). Ora stanno cercando di evacuare coloro che hanno bisogno di cure palliative.
Da Maria Luisa a Mike...
LA CARTOLINA
Di: Augusto Frasca
...il lungo viaggio della RAI.
Un segnale orario
e due voci
per l’inizio di una storia.
Un segnale orario e due voci per l’inizio di una storia. La prima voce è quella di una signora trentaduenne, Maria Luisa Boncompagni. Da una stazione allestita in piena campagna capitolina nella zona dell’attuale Parioli tra Villa Ada e piazzale delle Muse, pronuncerà le parole << URI, Unione Radiofonica Italiana, 1 RO,
stazione di Roma, concerto sinfonico inaugurale >>. Fu il segnale di partenza della prima stazione radiofonica italiana. Subito dopo, toccò alla voce di Ines Viviani Donarelli, violinista, annunciarne da palazzo Corrodi in via Maria Cristina, a due passi dal Lungotevere, la programmazione: << URI, Unione Radiofonica Italiana, 1 RO, stazione di Roma, lunghezza d’onda metri 425.
<A tutti coloro che sono in ascolto il nostro saluto e il nostro buona sera.>
Sono le ore 21 del 6 ottobre 1924. Trasmettiamo il concerto di inaugurazione della prima stazione radiofonica italiana per il servizio delle audizioni circolari. Il quartetto composto da Ines Viviani Donarelli, che vi sta parlando, Alberto Magalotti, Amedeo Fortunati e Alessandro Cicognani, eseguirà Haydn dal quartetto opera 7, primo e secondo tempo >>. Restituita la paternità, o meglio, secondo moda, la maternità dei due annunci, le testimonianze dell’epoca ricordano come la rassicurante voce di Maria Luisa Boncompagni, assunta dall’organismo appena creato con il compenso di 500 lire mensili, avrebbe fatto compagnia ai nostri connazionali per un trentennio, fino al 31 maggio 1954, lasciando traccia memorabile in particolare in Sorella Radio, una meravigliosa trasmissione di alto senso civile rivolta ad infermi e malati d’ogni genere.
Al quarto anno di vita l’URI mutò veste e denominazione trasformandosi in EIAR, Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, con un potenziamento delle strutture, un progressivo aumento degli abbonati e il trasferimento della sede, due anni dopo, da Roma a Torino.
Cercasi giovani...la popolazione italiana sempre più in calo!
LA PREOCCUPAZIONE
Il Servizio Sanitario Nazionale
(SSN)
ha festeggiato nel 2023
il suo 45mo compleanno.
Che futuro ci aspetta?
Di: Luigi Giovannini
Il Servizio Sanitario nazionale (SSN) ha festeggiato nel 2023 il suo 45mo compleanno. La ricorrenza ha offerto l’opportunità di aprire un ampio dibattito tra esperti del settore, giornalisti, opinionisti e pubblica opinione sullo ‘’stato di salute’’ (è il caso di dire) di una delle riforme più importanti della storia repubblicana. Uno degli aspetti su cui si è concentrata maggiormente l’attenzione degli analisti è stata la sostenibilità economica del sistema, anche alla luce delle difficoltà enormi affrontate per fronteggiare l’epidemia di COVID negli anni precedenti.
Come è noto il SSN, in ottemperanza con i suoi principi fondativi, eroga servizi di assistenza sanitaria a tutta la popolazione a prescindere dal livello socio-economico e, a maggior ragione, dal rischio e/o gravità della malattia e coerentemente con queste finalità viene finanziato tramite la fiscalità generale.
La cosiddetta sostenibilità va perseguita cercando il punto di equilibrio tra la spesa sostenuta per i servizi sanitari e le richieste di assistenza dei cittadini. Poiché questo punto di equilibrio dipende dalla capacità contributiva del paese, risulta importante, tra gli altri fattori in gioco, l’andamento demografico attuale con le sue prevedibili evoluzioni. E qui il percorso di ricerca della sostenibilità incontra un rilevante punto critico: la popolazione attiva in Italia continua da diversi anni a diminuire in valore assoluto e, questo è l’aspetto più importante, anche rispetto alla popolazione non più attiva, che presenta peraltro le maggiori esigenze di servizi sanitari e con costi più elevati.
Alcuni dati a supporto di queste considerazioni: all’inizio degli anni ’80 gli under 15 erano in Italia 12,2 milioni, pari al 21,6% della popolazione totale. A distanza di 40 anni (dati 2021) la popolazione al di sotto dei 15 anni è scesa a 7,5 milioni (12,7% del totale). È corretto segnalare che questo andamento demografico è presente anche in altri paesi europei (Francia, Germania, Spagna), tuttavia con dimensioni decisamente più ridotte rispetto all’Italia, sia in valori assoluti, sia in percentuale sulla popolazione totale.
Economisti e sociologi concordano nel ritenere indispensabile ed urgente affrontare il problema, che rappresenta un grave rischio per la sostenibilità dei sistemi di welfare e più in generale sul piano sociale, culturale ed economico del paese. Indispensabile quindi agire prioritariamente sulle cause del problema per trovare gli antidoti opportuni e adottare le misure necessarie ad invertire la tendenza. Antidoti e misure che per forza di cose produrranno i loro effetti a distanza di anni; e questo, se mai ce ne fosse bisogno, aggiunge criticità al problema e urgenza per la ricerca di soluzioni. Sulle cause della natalità si sono formulate molte analisi sociologiche, economiche, statistiche, eccetera, fino a trovare addirittura una sorta di correlazione tra il numero delle nascite e la frequenza maggiore o minore delle notizie negative presenti nei TG della sera in certi periodi piuttosto che in altri.
54° Congresso della Società Italiana di Storia della Medicina
IL RACCONTO
La nascita
dell’Oncologia in Italia
Il San Giovanni
Antica Sede di Torino
Lettura tenuta
al 54° Congresso Nazionale
di Storia della Medicina
di Torino
30 Maggio/1° Giugno 2024
Di: Alessandro Comandone, Alessandro Bargoni, Tiziana Comandone
La lotta ai tumori non è invenzione recente in Medicina. Sin dal 1600 si annoverano importanti studi epidemiologici Italiani (Ramazzini Parma) e Britannici (Pott 1734) sulla insorgenza di particolari tipi di tumore in popolazioni specifiche quali il carcinoma dell’endometrio nelle suore e i carcinomi dello scroto negli spazzacamini.
Ma è solo a fine del 19° secolo, con la diffusione della nuova filosofia positivistica e lo sviluppo della scienza sociale e medica denominata Igiene che l’interesse alla cura dei tumori diventa sempre più diffusa nel territorio europeo e nord americano.
Sicuramente la prima branca della Medicina che apre nuove frontiere è la chirurgia.
La scoperta degli anestetici e le nozioni di sterilità degli interventi permettono di intraprendere interventi in organi profondi o complessi fino a quel momento inavvicinabili.
Ricordiamo brevemente alcuni interventi chirurgici che hanno cambiato la storia della medicina e dell’umanità.
1873: laringectomia secondo Billroth (Austria)
1885: gastrectomia secondo Billroth (Austria)
1896: mastectomia radicale Halsted (USA)
1912: isterectomia Wertheim (Austria)
1921: resezione addominoperineale del retto Miles (UK)
Esempi di sofferenza a causa della poliomielite
LA RESISTENZA
Nonostante la precarietà
per la “sopravvivenza”,
cinque pazienti colpiti dal virus
ci rammentano
come si può essere
attaccati alla vita
grazie al polmone d’acciaio.
È morto a Dallas
il “più longevo” di tale esperienza.
Da: Il mio giornale
Dico la mia - Evidenza - Salute - 20 Marzo 2024 - Ernesto Bodini
Di: Ernesto Bodini
Si sa che quando il corpo umano è affetto da una malattia acuta e/o cronica molto grave (specie se per molti anni), in molti casi prima o poi viene “sopraffatto” dal decesso. Ma anche se l’evento è così scontato, lo è meno quando il paziente ha “resistito” per moltissimo tempo non solo alla malattia ma anche alle particolari condizioni di sopravvivenza con l’aiuto della tecnologia, empirica o moderna. È il caso, ad esempio, dell’americano Paul Richard Alexander (Dallas 10/1/1946 – 11/3/2024, nella foto ad inizio malattia e durante), avvocato e scrittore, noto per essere sopravvissuto a un’epidemia di poliomielite avendo contratto il virus nel 1952 e che lo rese paralitico a vita, tanto che trascorse il resto dei suoi giorni prevalentemente collegato al polmone d’acciaio a causa, appunto, di insufficienza respiratoria. Ed è proprio di questi giorni la notizia della sua scomparsa e passato alla storia essendo stato il paziente più longevo “inglobato” nel polmone d’acciaio per 70 anni. L’americano Alexander poteva lasciare il suo polmone d’acciaio solo per alcune ore dopo aver imparato a respirare, e usava un bastoncino di plastica con una penna attaccata per battere su una tastiera e riuscire a comunicare. La sua storia fece il giro del mondo, influenzando positivamente chiunque, e io credo che abbia commosso anche i due scienziati statunitensi del rispettivo vaccino antipolio: i proff. Albert B. Sabin (1906-1993) e E. Jonas Salk (1915-1995), la cui realizzazione sarebbe avvenuta qualche anno dopo. Una vita intensa quella di Alexander: il fatto di non poter più respirare autonomamente non gli aveva impedito di diplomarsi e laurearsi, conseguendo nel 1978 e nel 1984 due lauree all’Università di Austin nel Texas, prestando poi giuramento come avvocato, e nel 2020 pubblicò un libro di memorie intitolato Tre minuti per un cane – La mia vita in un polmone d’acciaio”, la cui stesura aveva richiesto ben otto anni, avendolo potuto scrivere tramite un bastoncino di plastica attaccato a una penna, o dettando le parole ad amici e parenti. Inoltre, in quegli anni conobbe anche l’amore: una ragazza di nome Claire che aveva accettato di sposarlo, ma le nozze andarono a monte a causa della contrarietà della madre di lei.
Progetti di ricerca promossi dal GITR. Un mondo da esplorare...
LA RICERCA
Tre progetti
con la descrizione degli obiettivi
relativi al 2023,
una panoramica
dell'attuale stato degli studi,
ed il prospetto
per gli interventi del 2024.
N.°1
L’impatto psicosociale dei tumori rari
Indagare la Qualità di Vita e i bisogni dei pazienti
affetti da melanoma, da sarcoma e dei loro caregivers
Progetto di: Carola Grimaldi
La letteratura testimonia l’ingenza dell’impatto non solo fisico, ma anche psicologico, spirituale e sociale che il cancro produce sui pazienti e sui loro familiari.
Le ricadute psicosociali del tumore hanno un impatto non solo sulla salute mentale dell’individuo, ma anche sulla sua salute generale: un prolungato distress emotivo, infatti, è in grado di ridurre la compliance al trattamento del paziente e aumentare il rischio di progressione di malattia, producendo indirettamente un aumento dei costi sanitari. Pertanto, per soddisfare i diversi bisogni di salute dei pazienti e dei loro caregivers, è necessario un lavoro di équipe che coinvolga diverse figure sanitarie e che permetta una presa in carico globale e integrata, secondo un modello multidisciplinare auspicato dalle linee guida ufficiali, e che è ormai consolidato nell’Oncologia del P.O. San Giovanni Bosco.
Poiché gli specifici bisogni legati all’esperienza di malattia non sempre corrispondono a quelli verbalizzati dai pazienti e dai loro caregivers, e pertanto possono essere ardui da riconoscere, emerge la necessità di possedere un modello integrato di clinica e di ricerca che sia in grado sia di rilevare tali bisogni che di rispondere ad essi.
N.°2
Ma tu che ne sai del cancro?
Progetto di prevenzione
agli stili di vita sani negli adolescenti
Progetto di: Carola Grimaldi - Serena Villa
Il periodo dell'adolescenza è caratterizzato da profondi mutamenti a livello fisico, psicologico e sociale a causa dei quali i giovani possono sperimentare atteggiamenti che mettono a rischio la propria salute futura. Le motivazioni che sottendono tali comportamenti dipendono da un complesso processo multifattoriale che comprende fattori di rischio ambientali, socio-demografici e comportamentali-individuali. Per aiutare al meglio ad esprimersi e a dare il proprio contributo è importante tenere conto dei compiti evolutivi che i giovani devono affrontare nel corso di questa fase, in cui si verificano importanti trasformazioni fisiche, cognitive, emotive e sociali. In questo periodo di crescita gli adolescenti cercano di comprendere sé stessi, costruire relazioni significative e affrontare le sfide che si presentano lungo il percorso verso l'età adulta attraverso una serie di processi che coinvolgono l'esplorazione, la sperimentazione e la riflessione su vari aspetti della propria vita.Per prevenire il ricorso a condotte a rischio, è di fondamentale importanza dotare i giovani di quelle competenze socio-affettive che l’Oms definisce come “life skills”, abilità fondamentali per mettersi in relazione con gli altri e per affrontare i problemi, le pressioni e gli stressors della vita quotidiana.
La “presa in carico” psicologico-clinica e psicosociale
delle famiglie fragili di pazienti oncologici anziani
Progetto di: Carola Grimaldi - Serena Villa
L’incidenza del cancro sta crescendo rapidamente in tutto il mondo; questo riflette sia il fenomeno dell’invecchiamento e dell'aumento della popolazione, sia i cambiamenti nella prevalenza e nella distribuzione dei principali fattori di rischio per il cancro, molti dei quali sono associati allo sviluppo socioeconomico. La malattia oncologica costituisce un’esperienza complessa da affrontare per i malati, i familiari e anche per i Servizi Sanitari che si prendono carico della patologia. Molte ricerche evidenziano che a seguito della diagnosi pazienti e familiari possono sperimentare sintomatologia ansiosa e depressiva, livelli elevati di sconforto, insoddisfazione, una maggiore sensazione di scoraggiamento e demoralizzazione. Secondo un'indagine ISTAT del 2015 i caregivers in Italia sono circa 8 milioni e mezzo, di cui circa 7 milioni svolgono la loro attività di assistenza nei riguardi di loro familiari. Tuttavia, attualmente le famiglie costituite da persone sole rappresentano circa un terzo del totale delle famiglie e le coppie senza figli rappresentano circa il 18-20% dei nuclei familiari, provocando significative ricadute sui modelli di assistenza e sulla figura e il ruolo dei caregivers, con un costante aumento di persone anziane nel ruolo di caregivers di pazienti anziani, con maggiori bisogni di salute e spesso la mancanza di possibilità di trovare altre forme di assistenza sul territorio.
Tre Studi con la partecipazione del GITR - O.D.V.
I tre Studi in lingua Inglese
sono leggibili e scaricabili cliccando sulle immagini
riportate di seguito
Benvenuto a Fabio Monti
IL SALUTO
Da questo numero
esordisce su PrimaPagina
il giornalista milanese
Fabio Monti,
che periodicamente
sarà presente
con la sua osservazione attenta
fra sport e cultura.
Presentazione di: Gianni Romeo
Fabio Monti,
giornalista milanese di 68 anni, esperienze significative con Gazzetta dello Sport e Corriere dello Sport prima di approdare nel 1968 al Corriere della Sera.
La sua osservazione attenta fra sport e costume, calcio e in particolare l’atletica leggera ispiratagli dal papà Carlo, velocista azzurro del dopoguerra, terzo nei 100 metri agli Europei di Oslo 1946 e terzo alle Olimpiadi di Londra 1948 con la staffetta 4x100.
Tra i suoi libri ricordiamo: I cento metri. Storie, leggende e protagonisti di 100 sprint da ricordare. Scritto in collaborazione con Claudio Colombo. Interstellar. Venti scudetti, due stelle: Milano è nerazzurra scritto con Federico Pistone. Inter. Miracolo a Milano. 2023, il racconto di un anno pazzo e indimenticabile. Il mondo di Piero. Parole, titoli e sfuriate di un grande giornalista: Piero Dardanello, di Fabio Monti e Roberto Beccantini.
L'atletica corre con l'Italia che cambia
IL RINNOVAMENTO
Lo sport non rappresenta
il migliore dei mondi possibili,
a volte non fa altro
che illustrare la propensione
dell’uomo a dribblare
i comportamenti etici,
il rigore, la correttezza,
l’integrità.
Di: Fabio Monti
Lo sport non rappresenta il migliore dei mondi possibili, a volte non fa altro che illustrare la propensione dell’uomo a dribblare i comportamenti etici, il rigore, la correttezza, l’integrità. Dice Livio Berruti: «Nel mio sport il migliore vinceva, gli altri applaudivano». Ma, essendo uomo di mondo, è il primo a sapere che non sempre va così. Ha scritto Giorgio Cimbrico, giornalista di sterminata cultura (senza limitazioni di argomenti): «Lo sport non è perfetto, ma mostra in molti casi di avere l’orologio in orario, capisce quando è il momento di rappresentare com’è fatta la società, come si sviluppano i percorsi di vita, i problemi, i drammi, come si trovano le soluzioni». A volte, gioca addirittura d’anticipo, come dimostrano la Storia e le storie (un esempio: il ping-pong per riaprire il dialogo fra Cina e Stati Uniti nel 1971) e non c’è bisogno di ricordare che Albert Einstein, il più grande scienziato del Novecento, parlando della teoria della relatività, aveva confidato: «Mi è venuta in mente, mentre andavo in bicicletta».
È da sempre in anticipo sui tempi l’atletica, che dello sport è (o dovrebbe essere) la pietra angolare. La squadra azzurra, che corre, marcia, salta o lancia, per come è stata costruita con pazienza e saggezza dal d.t., Antonio La Torre, è diventata in qualche modo il simbolo di una nuova Italia e di quello che è il più universale fra gli sport, dove Julian Alfred, un’atleta di Santa Lucia, isola delle Piccole Antille, può arrampicarsi in cima al mondo, correndo più veloce di tutte nei 60 metri al coperto: inclusione e non esclusione, apertura e non chiusura di fronte a realtà inedite, scoperta di nuovi orizzonti e di altre culture. Nel 1994, all’Europeo di Helsinki, faceva il suo esordio in nazionale Fiona May, nata nel Regno Unito il 12 dicembre 1979, divenuta italiana dopo il matrimonio con Gianni Iapichino: in azzurro ha vinto tanto, nel lungo (due ori, un argento e un bronzo mondiali, due argenti olimpici, un argento e un bronzo europeo) e ora ha passato il testimone alla figlia, Larissa, nata a Borgo San Lorenzo (Firenze) il 18 luglio 2002. Nel 2004, vent’anni fa, Andrew Howe, figlio di un calciatore e di una ostacolista statunitense, divenuto cittadino italiano grazie al secondo matrimonio di mamma, era andato a vincere a 19 anni due medaglie d’oro (200 metri e lungo) al Mondiale juniores di Grosseto. Sembravano casi isolati, invece May e Howe hanno rappresentato gli apripista rispetto a chi sarebbe venuto dopo dagli Stati Uniti, dalla Romania, dall’Ucraina, dall’Africa o da Cuba. I ragazzi che guardano ai Giochi di Parigi (26 luglio-11 agosto) hanno storie molto diverse, rappresentano il simbolo di che cosa può produrre l’unione tra etnie diverse oppure le migrazioni, alla ricerca di un futuro differente, scelte complicate, spesso dettate dalla speranza di vivere meglio.
Spazi di confronto Online
IL DUBBIO
Internet e Social:
con Smartphone e PC
rischi e risorse
per i pazienti oncologici
e il personale sanitario.
Di: Carola Grimaldi - Serena Villa - Claudia Lanza - Marco Gonnella
Le comunità di supporto online rappresentano uno strumento ampiamente utilizzato dalle persone che incontrano o che hanno incontrato diversi tipi di problematiche di salute, tra cui la malattia oncologica. L’incontro e lo scambio che hanno luogo all’interno di tali dispositivi consentono ai partecipanti di ricevere un sostegno reciproco, venire in contatto con nuove prospettive riguardanti la propria patologia, normalizzare la propria esperienza di malattia e ridurre l’isolamento sociale. Gli studi sui gruppi e sulle comunità di supporto online rivolti a pazienti oncologici hanno mostrato l’esistenza di diverse tipologie di benefici che i partecipanti possono trarre delle interazioni sul web con persone che vivono la medesima esperienza (Portier et al., 2013). Ad esempio, Rodgers e Chen (2005), hanno evidenziato l’impatto psicosociale che la partecipazione a una community online ha prodotto su un campione di donne affette da tumore al seno, in termini di un aumento dei sentimenti provati di fiducia e speranza. Inoltre, i pazienti sembrano avere la possibilità di vedere ridotte alcune preoccupazioni legate all’esperienza di malattia (Kim et al., 2012).
Appare significativo che alcuni studi (Winzelberg et al., 2003; Beaudoin & Tao, 2008) abbiano rilevato anche una riduzione di sintomi psicologici rilevabili clinicamente quali distress e depressione. Partecipando agli scambi delle community online, le persone hanno l’occasione non solo di condividere le proprie preoccupazioni, ma di riscoprire come una risorsa la possibilità di offrire supporto ad altre persone, vedendo rinforzato il proprio senso di auto-efficacia (Shaw et al., 2000).
Esistono oggi numerose risorse online fruibili dai pazienti oncologici, capaci di offrire un ulteriore supporto oltre a quello fornito da altri dispositivi gruppali quali i gruppi di sostegno e auto-aiuto a cui, talvolta, i pazienti fanno ricorso.
Tuttavia, il crescente utilizzo delle risorse online da parte dei pazienti oncologici e dei loro familiari apre la strada ad alcune considerazioni.
Nonostante i social media possano rivelarsi uno strumento utile per fornire informazioni, per promuovere una continuità delle cure e un modello di medicina centrata sul paziente e, in taluni casi, per rafforzare il rapporto tra medico e paziente, spesso gli operatori sanitari non sono consapevoli dell'importanza delle risorse online (Ben-Aharon et al., 2020). D’altra parte, non è possibile ignorare che negli ultimi anni i social media sono esplosi come mezzo di diffusione di informazioni sulla salute grazie a cui i pazienti hanno accesso a pareri di esperti prima inaccessibili.