Cartoline dal Passato - Ignazio Silone: 90 anni da Fontamara

LA CARTOLINA
Di: Augusto Frasca
La grande lezione
di Ignazio Silone
Scomoda, ancora oggi,
resta la sua figura,
troppo forte, troppo attuale
il suo messaggio sociale.
In una delle interviste successive all’assegnazione, nel 2003, del Nobel della Pace, richiestole dei suoi rapporti con la cultura letteraria italiana, l’iraniana Shirin Ebadi fu lapidaria: due
nomi su tutti, Dante Alighieri e Ignazio Silone, l’uomo nato in inizio di Novecento nell’abruzzese Pescina.

La località marsicana era la stessa che due secoli e mezzo avanti aveva assistito alla nascita dell’uomo che fu a lungo depositario dei destini del continente europeo, Giulio Raimondo Mazzarino, una nascita visivamente testimoniata localmente da un Museo e da una loggia che ricordano dell’antica anagrafe del futuro cardinale.
Dello scrittore abruzzese, tra i più tradotti al mondo, e fra gli anni Cinquanta e Sessanta in più scadenze candidato al Nobel della letteratura, ricorrono novanta anni dall’uscita del romanzo che aprì all’autore la strada alla notorietà internazionale. Quelle di Fontamara, pubblicato a Zurigo nel 1933, voce autenticamente rivoluzionaria nel panorama letterario italiano, sono pagine illuminanti dell’inesausto legame con i disperati della terra da parte di un uomo
che, disilluso dai partiti e dal clero, amò definirsi politico senza partiti e cristiano senza chiesa. Della profondità umana, oltre che letteraria, di Silone, resta, fra le altre, una magnifica pagina d’uno dei suoi romanzi, Uscita di sicurezza. L’autore racconta di come lui, giovanissimo, dinanzi l’uscio di casa, avesse riso allo spettacolo di un uomo malmesso e terroso ammanettato tra due carabinieri. E di come fosse stato ripreso con severità dal padre: <<Non si deride un detenuto, mai, perché non può difendersi, perché forse è innocente, in ogni caso perché è un infelice. Infine perché, scalzo e vestito di stracci com’è, più che un ladro ha l’apparenza di un derubato>>.

A lungo in esilio all’estero per ostilità al regime fascista, contemporaneamente critico spietato nei confronti della dittatura staliniana e delle complicità del comunismo italiano, inevitabilmente uomo scomodo, lo scrittore abruzzese lo fu soprattutto per l’apparato
egemonico culturale del tempo, quello stesso che nel 1965 portò all’esclusione, frutto di un’ideologia di parte tanto settaria quanto indifendibile, dalla partecipazione al Premio Viareggio proprio con Uscita di sicurezza.

Nel 1956, all’indomani della rivoluzione ungherese schiacciata dai carri armati sovietici, insieme con Nicola Chiaromonte, Silone aveva fondato Tempo presente, rivista politico-culturale che nei suoi dodici anni di vita accolse contributi e testimonianze di intellettuali cosmopoliti come Hannah Arendt, Albert Camus, Simone Weil, Raymond Aron, Cormac McCarty, Leonardo Sciascia e Gustav Herling.

Accompagnato dalla fama dei romanzi di maggiore successo, Pane e vino, Una manciata di more, Il seme sotto la neve, Il segreto di Luca, Ignazio Silone riposa nella località di
nascita, a pochi passi dal Museo intitolato a Mazzarino.

Prima di morire, firmò un lascito morale difficilmente eludibile: <<Mi piacerebbe essere sepolto così, ai piedi del vecchio campanile di San Berardo, con una croce di ferro appoggiata al muro, e la vista del Fucino>>.
Raramente sonno dei giusti
fu più onestamente rispettato.