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Le complicanze renali in oncologia

Dolore Reni

 
L'APPROFONDIMENTO 
 
L’alchimia rinasce
con i moderni farmaci.
 
In oncologia spicca l’arte
di dosare le cure
per evitare dannosi
effetti collaterali.
 
 
 
Di: Davide Deangelis
 
In origine il termine farmaco indicava sia sostanza medicamentosa che veleno e per tale ragione il senso veniva attribuito in base al contesto o in relazione ad altri vocaboli. Al pari di altre parole antiche -come sorte, fortuna o successo- esso rientrava in quella categoria linguistica denominata vox media, era cioè neutrale, intermedia ed equidistante da un'accezione completamente positiva o negativa. Nel corso dei secoli, la sua evoluzione semantica giunse ad un'acquisizione essenzialmente positiva, per cui attualmente, tale lemma definisce una sostanza capace di apportare modificazioni funzionalmente benefiche nell'organismo che l'assume.
Tuttavia, esaminando la storia della medicina apprendiamo che, già nel Cinquecento, Paracelso aveva teorizzato la pericolosità di un medicamento in relazione alla sua dose. Le intuizioni del medico ed alchimista svizzero trovano riscontro tutt'oggi nei moderni concetti di range terapeutico o farmacovigilanza, con i quali si intende il monitoraggio degli effetti indesiderati e collaterali in relazione all'intervallo esistente tra gli stessi ed i benefici terapeutici derivanti da una determinata posologia. In altre parole, medici e farmacologi studiano ed applicano prescrizioni per un dosaggio di farmaco che possa consentire il maggior rimedio alla sintomatologia di cui soffre il paziente, senza gravarne ulteriormente le condizioni cliniche a causa delle potenziali o effettive complicanze dovute alle tossicità intrinseche della sostanza assunta. 
 
Una branca della farmacologia, denominata tossicologia, ha infatti come oggetto di studio la pericolosità delle sostanze venefiche presenti in natura e di conseguenza a disposizione e quindi potenzialmente a contatto con l'uomo. Molecole che rientrano a pieno titolo in questo settore sono sicuramente molte di quelle utilizzate nella composizione dei farmaci chemioterapici. In effetti l'etimologia stessa del termine tossico, che viene accostata a quella dell'albero del tasso, con la cui legna si fabbricavano frecce successivamente intinte di veleno, riporta indirettamente all'origine di farmaci comunemente impiegati in chemioterapia: i taxani. Questo significa che nessuna sostanza, sebbene assunta con l'intento di modificare la sintomatologia o l'eziologia di una malattia è innocua per l'organismo, tanto più quelle che devono impedire e contrastare la replicazione delle cellule tumorali e che per definizione sono citotossiche. 
 
Le complicanze e le collateralità sono comuni in oncologia oltre che per la tipologia dei farmaci, anche per le combinazioni tra essi (polichemioterapia) e per le condizioni fisiche dei pazienti (anziani, defedati...). In questa sede accenneremo solo alle tossicità renali correlate alla somministrazione di alcuni chemioterapici nefrotossici ed ai danni renali legati all'uso di corticosteroidi.
Fegato e reni, in quanto organi emuntori, ossia deputati alla filtrazione ed alla escrezione delle sostanze processate dall'organismo, sono esposti più di altri agli effetti tossici indotti dai chemioterapici con danni che possono essere acuti e reversibili o cronici e irreversibili come l'insufficienza renale. La stessa struttura chimica di alcuni di essi consente di preconizzarne la pericolosità: è il caso dei derivati e composti del platino, un sale metallico e pertanto deleterio per le cellule renali. Fortunatamente esistono in commercio nuove generazioni di tali molecole con minor lesività renali, seppur con impiego più ristretto.
 
Ampie applicazioni conservano invece farmaci di vecchia data come le mostarde azotate (Ifosfamide e Ciclofosfamide) e gli antimetaboliti, cioè sostanze che antagonizzano la sintesi di altre naturalmente presenti nell'organismo. A quest'ultima classe appartiene il Metotrexato, un chemioterapico che necessita di una abbondante idratazione ed integrazione salina concomitante alla sua infusione. In realtà, per prevenire le nefrotossicità, l'oncologo dovrà anche prescrivere con particolare attenzione una supplementazione di liquidi e sali minerali, compatibilmente con i sintomi correlati alla malattia ed alla terapia, quali nausea ed emesi. Per tale ragione i protocolli terapeutici prevedono idratazioni endovenose come prima scelta ed un monitoraggio delle capacità escretive dell'apparato urinario, come il conteggio della diuresi.
Anche i recenti farmaci a bersaglio molecolare, che inibiscono i meccanismi angiogenetici tipici delle neoplasie, “affamandone” le cellule, possono recare pregiudizio alla filtrazione renale, causando un aumentato, elevato ed indesiderato passaggio di proteine nelle urine, denominato proteinuria.
Correzione del dosaggio, eventuale sospensione della terapia sembrano rappresentare le soluzioni più idonee per permettere un recupero della funzionalità renale, insieme ad un'adeguata idropinoterapia (abbondante assunzione di acqua minerale), quando non sono necessari trattamenti farmacologici con antiossidanti, citoprotettivi e diuretici.
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