L'IDENTITÀ
La memoria
non è una skill (abilità),
una dotazione, un optional,
è ciò che ci identifica
come esseri umani
Di: Davide Deangelis
Nel cuore dell’inverno, quando le giornate si tingono di algido grigiore, anche l’animo delle persone sembra assumere le stesse plumbee sfumature. I pensieri si fanno più introspettivi e a volte più tristi. Gli inglesi chiamano la malinconia, blue, e blues è il genere musicale di chi canta il male di vivere, proprio degli emarginati dalla discriminazione razziale. E nero, etimologicamente è anche il colore della melanconia (in greco, μελάνια) quel sentimento per anni considerato peculiarità delle “anime belle” e ora confinato nella patologia psichiatrica sotto varie definizioni. Appare così inevitabile che anche la calendarizzazione delle ricorrenze e delle commemorazioni comprese tra il 27 gennaio e l’8 marzo assorba le stesse tinte fosche. In poco più di un mese l’ONU, l’UNESCO e l’OMS (sempre più spesso WHO) hanno inanellato una serie di Giornate internazionali che ci rammentano tragici eventi: il Giorno della Memoria per le vittime della Shoah, quello del Ricordo dei morti nelle foibe, la Giornata Mondiale per la lotta contro il cancro, quella del malato, quella dei bambini oncologi, quella dei lebbrosi, quella delle vittime delle mutilazioni genitali e della discriminazione per l’obbligo del velo islamico fino a quella delle donne, la cui istituzione kill ripercorre episodi di morti bianche.
Perché dunque dobbiamo ricordare? Forse perché se vogliamo continuare a fregiarci del titolo di uomini, dobbiamo farlo. Per consolidare la nostra specificità, costituita dalla capacità di narrare, di riportare alla mente fatti e storie che meritano di essere trasmesse. Una tradizione prima orale e poi scritta che unisce idealmente uomini di etnie, storie e generazioni differenti. Ricordare significa recuperare al cuore qualcosa che ci ha toccato profondamente, qualcosa che vorremmo ci possa sopravvivere. Un lascito da fare ai nostri successori, perché parla anche di noi, di come avremmo voluto essere e di quali errori e nefandezze ci siamo macchiati, di cui, colmi di vergogna, imploriamo il perdono della Storia. Ricordare vuol dire dare una nuova possibilità di riscatto, sostenuta dalla consapevolezza delle ragioni che hanno portato alla caduta, alla sofferenza. L’insegnamento appreso nel patimento, che esige se ne celebri la memoria, si perpetui il ricordo, affinchè non si riproducano le stesse condizioni mortifere.
Ecco, ricordare significa lottare per affermare la biografia, la scrittura della vita, nostra e degli altri, contro il tanatogramma dell’indifferenza, la necrofila ricerca del potere, del dominio, della prevaricazione che implora strumentalizzazioni mediatiche continue per legittimarsi e giustificarsi ideologicamente. Ricordare gli insuccessi e i falliti della storia, non vuol dire affermarne il primato, ma accordarne la dignità, quella dignità che dovremmo riconoscere a ogni essere umano, di qualunque etnia, sesso, stato sociale, professione politica e religiosa. Perché nell’eterna dialettica servo e padrone, vinti e vincitori, amici e nemici consumata dalla polvere del tempo, affiorano solamente le vite di uomini, donne e bambini.
La memoria non è una skill, una dotazione, un optional, è ciò che ci identifica come esseri umani, è costitutiva della nostra stessa esistenza, invera il senso delle nostre vite…Non dimentichiamolo.