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I Quadretti - La mia squadra ha perso? È colpa dell'arbitro...

Trentalange Presidente AIA

 
IL QUADRETTO

Di: Gianni Romeo

 
Il torinese Alfredo Trentalange
è il nuovo presidente dei <fischietti>,
un esercito di 30.000 persone
che ogni settimana muove in Italia
migliaia di partite: 
 
<Ma Il nostro compito prima di tutto è quello di educare>
 
Alfredo Trentalange, 63 anni, torinese, a metà febbraio è stato eletto  presidente dell’Aia, l’Associazione Italiana arbitri. Per una persona che ha sempre fatto della riservatezza il suo distintivo, la privacy è finita: da un giorno all’altro interviste in televisione, titoli sui giornali, foto. È salito al vertice a voce bassa dopo un cammino a testa alta, premiato in primo luogo per il rigore (non quello che si fischia in campo…) e la sua onestà intellettuale. Presidente degli arbitri significa governare e coordinare un esercito che conta all’incirca sui 30.000 volontari (e pochissimi professionisti che arrivano a scalare la cima della piramide, Serie A, B e dintorni), un esercito che è il motore di migliaia di partite, dal campetto di periferia al grande stadio. Motore ma anche parafulmine del gioco più popolare del mondo. Volete la frase più gettonata? Eccola: <La mia squadra ha perso? Per forza, è colpa dell’arbitro…>.Trentalange in campo
 
Trentalange si è costruito una carriera prestigiosa cominciando a 15 anni sui terreni spelacchiati di borgata, scalando tutte le categorie con impegno, rinunce, passione. Anche grandi soddisfazioni. <Giocavo da mezzala, dopo un provino per il Torino mi dissero che se proprio mi piaceva il calcio avrei potuto fare solo l’arbitro, al massimo il giornalista>.  Scelse la prima opzione, arrivando a collezionare  197 partite in serie A (la prima dirigendo il Napoli di Maradona), più di 70 a livello internazionale con importanti esperienze all’estero, ad esempio nel ruolo di istruttore degli arbitri giapponesi. Poi ha diretto il Settore Tecnico federale a Coverciano, l’università degli arbitri. Da poco è il Numero Uno, ha superato nettamente nel congresso quadriennale il suo predecessore Marcello Nicchi ripetendo il mantra di una riforma sostanziale: <Bisogna allargare la base tesserando i giovani e le giovani sia come calciatori sia come arbitri per non costringerli a scegliere subito. Soprattutto bisogna imparare a comunicare con i giocatori e con l’esterno, perché soltanto dialogando si cancellano le tensioni. Il confronto rende tutti migliori>.
Ma perché tanta sensibilità? La vita di Alfredo Trentalange non è mai stata solo  calcio. Anzi. Si è moltiplicata e diversificata attraverso sport, impegno sociale e medicina. 
 
È laureato in scienze motorie e scienze dell’educazione, ha insegnato religione ed educazione civica in un liceo e in istituti professionali torinesi, ha fondato e guidato l’associazione Agape che sosteneva persone con disagi psichici a costo di sacrifici non indifferenti, mettendo a frutto il poco tempo libero.
Logo Faro<Ho sempre avuto una passione forte per la psichiatria pur non essendo medico. Sono stato responsabile della riabilitazione al Fatebenefratelli di San Maurizio e oggi faccio formazione per la fondazione Faro, che ha un hospice  a San Vito e si occupa di persone in fin di vita. Seguo infermieri, oss e medici, dedico un po’ di tempo a chi ne ha più bisogno>.
Il calcio, secondo Trentalange, può diventare un veicolo prezioso. <Ho visto persone disagiate che non si relazionavano con nessuno trasformarsi letteralmente e socializzare su un campo, magari giocando contro psichiatri e psicologi. Molti si sono felicemente integrati. Lo sport consente di aprire canali di comunicazione inimmaginabili, è una medicina importante. Ed è una metafora della vita: l’integrità di una persona si riconosce sul campo, c’è chi aiuta e chi simula, chi è egoista e chi consola, proprio come sul lavoro, in ufficio, in Bilanciaqualsiasi altra situazione della quotidianità>.
E arbitrare cosa significa? Voglia di dominio, rivalsa sociale, fonte di guadagno? <No, significa amministrare la giustizia. L’arbitro deve essere uno strumento di pace. Un fallo fischiato correttamente evita la vendetta dell’avversario, si diventa educatori rimediando talvolta alle omissioni di adulti che non sanno educare i ragazzi>.
 

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