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"Le Parole che Curano" - Meglio soli... o no?


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LA RUBRICA
 
 
MEGLIO SOLI
...O NO
 
 
“se vuoi arrivare primo
corri da solo;
se vuoi arrivare lontano
cammina insieme”

 

A cura di: Davide Deangelis
 
La traccia emotivamente più interessante ed intellettualmente stimolante proposta quest'anno alla prova d'Italiano dell'esame di maturità è stata forse quella riguardante il concetto di solitudine, attraverso l'analisi letteraria ed artistica di vari autori. Un tema suggestivo che ha attraversato secoli e culture, incontrando sia favori, che dissensi, rivestendosi di connotazioni ora positive, ora negative, dimostrando in tal modo un'ampiezza ed una pregnanza di senso, pari solo alla sua continua sollecitazione. Per la profondità antropologica del suo significato, che ha assunto sfumature diverse nel corso del tempo, per l'accezione attuale, carica di richiami all'individualismo neo-liberale, e per il profumo della sfida nel cimentarsi con un argomento culturalmente elevato, proveremo a soffermarci su questa parola fondamentale per la storia umana.
 
Apprezzare e ricercare la solitudine significa scegliere di appartarsi dalla moltitudine e -per quanto consentito- il più durevolmente possibile dalla frequentazione Maturadi altri esseri della propria od altrui specie, senza con ciò assumere un atteggiamento di chiusura o rifiuto assoluto verso di essi. Amare la solitudine significa desiderare di stare da soli, senza temere i silenzi che colmano il trascorrere del tempo, né gli indugi nostalgici o la minaccia del tedio, ma profittando di essi perdersi in meditazioni, riflessioni e contemplazioni che possano essere arricchenti per chi li esperisce.
La congettura, la cogitazione e l'elucubrazione più seria e nobile possono realizzarsi più agevolmente in questa condizione solitaria ed in questo stato di rapporto esclusivo con se stessi, come ci insegna la poetica leopardiana e la sua vicinanza con gli insegnamenti di Epitteto. È, questa, l'interpretazione più “eroica” della solitudine, quella dei protagonisti dei poemi omerici, che lontano dalle battaglie riflettono sulle sventurate vicende dei mortali, oppure della risonanza compiuta dal pensiero dei filosofi classici, Stoici in particolare, che dischiuse la via all'ascetismo, pagano prima e cristiano poi, collocandolo e strutturandolo nella vita monastica. Di questo allontanamento volontario e deliberato dal consesso umano abbiamo una testimonianza filosofica in Seneca nelle lettere a Lucilio, quando asserisce che la saggezza si ottiene divenendo sordi ai rumori del mondo: scostarsi da essi e da chi incessantemente li produce, ne può favorire l'impresa. 
 
La fuga dalla mondanità, intesa come inconcludente e vana dispersione di tempo, risorse ed impegno, che condurrebbe a vuoti esistenziali, insensatezza e inautenticità, rappresenterebbe l'unica strada per il raggiungimento della saggezza, allora identificata in felicità, che la cultura medievale condensava nella massima “beata solitudo, sola beatitudo”.
Nel rifuggimento di queste vanità, ripudiate teologicamente nel Qoelet e bandite storicamente da Savonarola, si cela un silente disprezzo verso il mondo e gli altri (contemptio mundi) che, se lo svincolassimo dal contesto religioso, con il suo inquadramento peccaminoso, stenteremmo a distinguerlo dalla misantropia da un lato, e da un patologico soggettivismo dall'altro in tutte le sue forme: psicologiche (egocentrismo), sociali (egoismo) ed artistiche (egotismo). Sentimenti, atteggiamenti e modi di vivere ed interpretare l'esistenza che comportano, nel complesso, una netta mancanza di partecipazione attiva alle sorti comuni a causa di altere giustificazioni e superbe convinzioni: null'altro che larvate formule di disturbi narcisitici. 

Bibbia

Con il pensatore spagnolo Unamuno abbiamo un tentativo di superare questo impaccio etico e sociale, nel quale il filosofo intravvide agli inizi del XX secolo una tendenza escapista volta verso una legittimazione all'irresponsabilità, allo sviamento dell'azione, allo straniamento della realtà che conducono ad un pericoloso decalogo autoreferenziale ed acritico, in quanto im-mediato, ossia irrelato con altre posizioni. I timori furono fondati, perché di lì a poco l'Europa e la Spagna conobbero le ferite delle guerre mondiali e dei regimi totalitari, dalla cui analisi storica e sociale Ricoeur, Levinas e soprattutto Jonas teorizzarono la loro riflessione etica sull'importanza della condivisione, del valore dell'altro e del senso di responsabilità. Rinchiusi nella propria stanza, lontani fisicamente ed emotivamente da tutto e tutti, non possiamo percepire il disagio, la sofferenza ed il bisogno dell'altro.